
Immagina una domenica di metà ottobre in cui il tempo ti regala una bella giornata di sole, anche troppo calda per il cambio di stagione che hai già fatto. Sai bene che domani è lunedì e che riprenderai tutti gli impegni da cui, almeno per oggi, avevi provato a nasconderti. Ed eccola lì la malinconia, quell’adorabile compagna di giochi che ti assale ogni volta che al sereno si sovrappone una nuvola. Dev’essere stata lei ad accompagnare Jake Bugg nella stesura del suo quarto album, Hearts That Strain, e a riportarlo alle origini dopo due dischi di “perdizione” stilistica.
Il giovane cantautore di Nottingham, all’anagrafe Jake Edwin Kennedy, classe 1994, può risultare una novità per tanti di noi qui in Italia, ma è una delle voci britanniche più talentuose degli ultimi anni (Bugg debutta con il suo primo album, Jake Bugg, nel 2012). Con un sound così classico, tra il folk e il blues, la voce nasale il giusto da risultare ipnotica e il caschetto calato sull’espressione da bambino amareggiato, riesce a rimanere fresco in un periodo musicale che richiede quel ritmo, quelle acrobazie vocali e quello “stile” in più.
Hearts That Strain, pubblicato per Virgin il primo settembre scorso, sembra fatto apposta per esser ascoltato con una tazza di tè fumante in mano e lo sguardo perso oltre il vetro della finestra: nessuna hit travolgente, ma quel dark dai toni bassi che basta per farci rifugiare nei nostri pensieri. «Ho scritto nel mio appartamento quindi le chiavi sono basse», spiega Bugg. «Credo che sia un trucchetto del mondo pop, alzare i toni di una canzone, ma non funziona per me. E poi stavo scrivendo nel mio appartamento e non volevo infastidire troppo i miei vicini». Ed ecco che tutte le influenze del cantautore bussano alla porta: dai Beatles a Bob Dylan, passando per i White Stripes e Jens Lekman. A farsi sentire è anche la mano dello statunitense Dan Auerbach, voce e chitarra dei Black Keys, il quale ha accompagnato il giovane britannico nella produzione del disco in uno studio di Nashville (Tennessee) insieme ad alcuni componenti dei Memphis Boys, e scusate se è poco.
Jake racconta di sé e della sua storia, e se gli chiedi perché non parla di politica è pronto a risponderti: «Si sente così tanto a riguardo e penso ci siano persone che credono che tu, come cantautore, abbia la responsabilità di esprimere le tue opinioni politiche ogni tanto; ma non io. Mi piace tenere le idee per me stesso finché non mi vengono chieste. Non voglio coinvolgerci la musica. Io canto della mia vita, senza dire a qualcuno come vivere la propria. Se non hai la musica in cui rifugiarti da tutte le cose brutte del mondo, allora non rimane molto altro».
Se volete farvi un’idea di cosa sto parlando, iniziate pure il vostro ascolto con How Soon The Dawn, prima traccia delle undici componenti l’album (a circa metà strada troverete la voce di Noah Cyrus, sorella della più famosa Miley), e se questa vi convince, sarò lieta di annunciarvi che Jake Bugg suonerà a Milano il prossimo 2 febbraio. Non vi resta che comprare il biglietto.