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“Storia di un matrimonio”, la finzione non è mai stata così vera

Il diavolo è nei dettagli, ma anche le persone lo sono. Se chiedessero a qualcuno di descrivervi, cosa vorreste sentirgli dire? “È intelligente; è simpatica” e tutta una carrellata di aggettivi che potrebbero appartenere a voi come a chiunque altro? Io vorrei che dicessero di me che nascondo compulsivamente i posaceneri sotto al divano, che non metto lo zucchero nel caffè perché poi non ho voglia di lavare il cucchiaino, e che per non sembrare scortese accetto qualsiasi volantino mi offrano per strada. Tutta quella serie di dettagli che fanno di me una persona e non un personaggio stereotipato; quegli elementi così accurati e difficili da pensare se non ti appartengono, che spesso trovano poco spazio sullo schermo, facendo la differenza tra figure standard (il buono, il cattivo, l’eroe, l’ubriacone) e personaggi che nei centoventi minuti di film prendono davvero vita: Nicole (Scarlett Johansson) è una di quelle persone che quando ascoltano lo fanno davvero; prepara sempre inspiegabilmente una tazza di tè che non beve mai e fa dei regali fantastici. Sa usare il cambio manuale e tiene il frigo troppo pieno. Charlie (Adam Driver) mangia come se volesse togliersi il pensiero, risparmia l’energia elettrica, piange durante i film e sa dire alle persone che hanno qualcosa tra i denti senza farle sentire in imbarazzo.

Sono questi quei piccoli dettagli che Baumbach ci regala fin dai primissimi istanti di film e che hanno il potere di traghettarci in un’atmosfera sospesa ma verissima. La vera-finta storia di un matrimonio finito, di due persone che si sono amate e di tutta una serie di parole dolci non dette e cattiverie che invece scappano e vorremmo rimangiarci immediatamente. Fragilità, amaro in bocca, rabbia verso noi stessi ma che scarichiamo addosso all’altro. Problemi taciuti, incomprensioni e piccoli momenti di tranquillità che non riusciamo ad afferrare. In Storia di un matrimonio è impossibile restare spettatori, guardare e non rivedere un po’ del proprio vissuto: siamo il figlio conteso tra i due genitori, siamo la donna che incolpa il marito per i sogni che ha accantonato, il marito che non ascolta e che si incaponisce per la vittoria in sé, più che per quella cosa per la quale sta lottando. Siamo la madre che non rispetta i confini, l’avvocato che finge di essere interessato a te, o semplicemente siamo quella persona che nel litigio tira fuori il peggio di sé. La vita non è come quella dei film, ma un film come Storia di un matrimonio è come la vita: ti strappa un sorriso e il momento dopo ti fa piangere, senza nemmeno che tu riesca ad afferrarne il perché.

Non è fatta di parole giuste dette al momento giusto, di un tempismo perfetto, di torto marcio o ragione, ma di piccoli sorrisi a mezza bocca che vanno interpretati e di parole che si fermano sulla punta della lingua, senza il coraggio di uscire. L’evoluzione del film è chiara, va di pari passo con l’evoluzione del divorzio dei suoi protagonisti: all’inizio ridiamo, e le risate rimangono confinate a quel preciso momento di comicità spontanea; poi a momenti alterni proviamo rabbia, tristezza, frustrazione, emozioni che ci portiamo appresso a malincuore anche quando sullo schermo va tutto “bene”. È come nella vita vera, quando un singolo momento di felicità muore dopo poco, al contrario dei problemi che hanno sempre lo strascico. Poi tutto finisce per fondersi in un groviglio indistinguibile di amarezza e riso. Merito questo di una Scarlett Johansson che forse non vedevamo dai tempi di Match Point, di un Adam Driver superlativamente a fuoco e di un Baumbach che si riconferma pittore straordinario dei piccoli drammi quotidiani. Storia di un matrimonio non è un film che va capito; è un film che capisce te.