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Cambiare non è sempre un male e Kehlani lo sa bene

Kehlani occupa uno spazio particolare dal punto di vista stilistico nel panorama musicale moderno, riuscendo a fondere alla perfezione R&B, hip hop e pop, per poi legare il tutto con la sua voce alla Mariah Carey. Nella pausa tra il suo ultimo mixtape e It Was Good Until It Wasn’t, Kehlani ha vissuto un cambiamento importante: diventare madre. Come dichiarato dall’artista, quest’avvenimento ha influenzato notevolmente il suo approccio verso il nuovo progetto e questo nuovo approccio lo si può ritrovare in un sound complesso e in testi profondamente onesti.

Il tempo per beat skippati e cori ovattati lascia spazio al nuovo lavoro che trasuda sexappeal e che avvia Kehlani verso una nuova evoluzione della sua carriera. L’album viene aperto da Toxic, con una linea di basso pulsante e synth anomali che impostano subito una piega netta che prenderà tutto il resto. La presenza di collaborazioni di tutto rilievo come James Blake in Grieving dove i due raccontano una relazione fallita e nella quale vengono perfettamente fusi l’elettronica del fuoriclasse inglese e la voce di Kehlani sembra quella più interessante. Per c’è Jhenè Aiko, già ospite di Drake, Childish Gambino e Chris Brown, passando al rapper canadese Tory Lanez e continuando con Masego e Lucky Daye.

Il nuovo sound un po frustrato di It Was Good Until It Wasn’t sommerge quello vecchio, cosi vivace, tanto amato dai fan e risalta il grande talento della cantante americana. La nota negativa invece è la perdita da parte dell’artista di quella brillantezza che l’ha contraddistinta nei lavori precedenti, lasciando spazio a questo nuovo lavoro che sposta l’artista verso una linea più sexy e dark ma allo stesso tempo più frustrata. Insomma, sembra che Kehlani, con il nuovo lavoro, abbia finalmente trovato la sua strada verso un evoluzione che punta dritta al cuore dei fan a conferma che cambiare non è sempre un male.