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“Ten Days” di Fred Again, due volti della stessa avanguardia

“Ten Days”, l’ultimo lavoro di Fred Again con Skrillex, Anderson Paak, Chika e Sampha, non può essere raccontato, tutto quello che ha da dire lo dice da sé

“L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro”. È da questa frase presa in prestito da Kandinsky che inizia il nostro racconto, la storia di un viaggio lungo dieci giorni. Una volta cominciato speri fino all’ultimo che possa infrangere le regole e non finire, ma come per tutti i viaggi, arriva il resoconto finale, il momento in cui ti accorgi delle sensazioni che, passando per i sensi, sono rimaste intrappolate nel ricordo. Ha un solo grande pregio che li vale tutti, può ricominciare, ogni volta che premiamo play. Tornando alle parole e alla filosofia dell’arte di Kandinsky, ce ne serviamo sfacciatamente per descrivere un disco che rompe gli schemi, che non può essere etichettato seguendo questo o quell’altro filone di pensiero, ha un’essenza forte, palpabile, che si lancia al di là del giudizio. Ten Days di Fred Again non si lascia comprimere da alcun limite e ci mostra il lato più giocoso del suono, quello più imprevedibile. Non saranno i tecnicismi della critica musicale a intrappolare un lavoro di simile caratura e c’era da aspettarselo. La tagliola del “fatto bene” o del “di qualità” scatta a vuoto, roba vecchia, ci vuole ben altro per descriverlo.

Sono le sensazioni a guidarci tra le tracce di questo disco e ne riusciamo a distinguere due ben definite, tra le altre. Nel nostro cervello fatto di meccanismi più che perfetti, quelli che elaborano la musica e il movimento sono mossi e controllati da circuiti comuni, lo dicono la scienza e chissà quale altro Dio. È proprio su questo principio che si basa la prima vera sensazione infusa da Ten Days, fa scattare in chi lo percepisce il riflesso incondizionato del movimento, segue lo stesso principio dello spavento dovuto allo scatto improvviso di qualcuno che ci sta di fronte. La si percepisce fin da subito, che sia un gesto ripetitivo della gamba, o un su e giù ripetitivo della testa, è la voglia di muoversi che prevale e lo fa prima che possiamo rendercene conto, provare per credere. La dimensione del dancefloor è un tratto distintivo, Fred Again ce lo aveva preannunciato con gli estratti che aprono le danze. Adore U e Ten seguono il principio già descritto in precedenza, cassa in quattro e ritmica da pista, lead ben riconoscibili, elettronica tanta, tutta. Non si perdono tra le vibes leggere, però, i tipici tratti autoriali di Jim Legxacy e le timbriche profonde di Obongjayar.

Ad alimentare la seconda sensazione che incontriamo lungo l’ascolto ci sono i preludi. Si, perché ogni pezzo ha un suo prologo, breve, ma pregno. Sono riflessioni, suoni che anticipano la traccia, parole che raccontano dieci giorni importanti della vita dell’autore. È una sorta di piccola storia all’interno della storia e sembra funzionare alla perfezione. Dopo il movimento indotto, dunque, arriva l’introspezione: Ten Days racchiude al suo interno una profondità quasi meditativa, è denso di caratteri intimi che non si nascondono ma emergono ben definiti. Se ne fa portavoce Sampha, che prende il featuring di un pezzo rasente al pop e ci aggiunge i suoi toni struggenti, delicati, carichi di spiritualità. È un testimone, quello dell’intimità, raccolto in Just Stand There in cui i pad si aprono solenni per far spazio alla profonda voce narrante di Soak, accompagnata da un frenetico arpeggio di pianoforte, e in I Saw You, forse il pezzo più struggente dei dieci. Le altre tappe del viaggio si posizionano alla perfezione nei due filoni di sensazioni già riconosciuti del disco: nel primo ci si infilano di diritto Places To Be con Chika e Anderson Paak, una traccia di quelle che ti fanno agitare la testa il più veloce possibile, i ritmi dubstep finemente alleggeriti esaltano e i vocals scattanti aggiungono benzina sul fuoco.

Glow con Skrillex, tra gli altri featuring, pezzo dalle sonorità edm che non delude chi aveva già cominciato a ballare freneticamente e Peace U Need, quello che di più vicino all’house ci fa ascoltare Fred Again durante il cammino. Nella seconda sfera di sensazioni, quella dell’introspezione, si affiancano Where Will i Be che potrebbe essere estratto senza alcuna riserva dalla colonna sonora di un film in stile Into the Wild e Backseat, una chicca breaktempo dalle vibes distensive e melodiche. Ten Days non è tutto quello che abbiamo provato a descrivere, è molto di più. Questo ci conduce verso la peggiore delle conclusioni possibili: ci abbiamo provato, ma raccontare un disco del genere è impresa troppo ardua. L’ultimo lavoro di Fred Again non può essere raccontato, tutto quello che ha da dire lo dice da sé. Parole che serviranno a ben poco, dunque, quelle di chi scrive, se non a tentare di ritrarre le sensazioni provate durante l’ascolto. Sensazioni che, molto probabilmente, al prossimo replay di questo disco, saranno già moltiplicate. E sarà stato tutto inutile, ma, comunque, molto divertente.