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Side Baby non ha mai avuto filtri

Side Baby torna con “Leggendario”, un lavoro credibile, reale, tangibile, determinato. Un disco di Side, in cui c’è anche Arturo. «La Dark Polo Gang? È parte della mia vita. Raccontavamo quello che stavamo vivendo in quel periodo storico»

Nelle mie ossessive soste pomeridiane in un forno testaccino, uno dei migliori della Capitale, va sottolineato per dovere di cronaca, mi capita spesso di soffermarmi nella piazza principale. Di Testaccio ho sempre ammirato con occhio meravigliato la sua forte propensione rionale, la veracità di chi abita quelle che una volta erano case operaie, c’è ancora voglia di stare insieme e vivere il quartiere, le piazze. Ho sempre pensato questo di Arturo, o Side Baby per i più, tutte le volte (non poche) che mi è capitato di incontrarlo di lì a pochi passi, in “zona sua”, e di poterci scambiare qualche parola: ha voglia di continuare a vivere le proprie origini, la propria storia, il posto che lo ha cresciuto e reso uomo. Quando ci parlo ritrovo nitida questa sensazione, ascolto le parole di un ragazzo dalla pelle dura, dotato di una forte sensibilità. Avverto la necessità di raccontarsi e dare sfogo alle sfaccettature di una personalità particolarmente empatica attraverso la sua musica e Leggendario, il suo nuovo disco solista, ne è la dimostrazione. Gli errori lo hanno reso consapevole e lo si percepisce fin da subito, le sue parole sono reali, pochi convenevoli, uno spiccato senso di appartenenza a luoghi, persone, simboli che hanno segnato la sua storia e quella della sua musica. Non risulta difficile entrare in sintonia con Arturo, non alza muri, si concede al dialogo schietto, al dialogo tra ragazzi che condividono ansie e paure, ma anche soddisfazioni, di una generazione intera. Mi sorprende e gli invidio proprio questo, l’attitudine al rimanere attaccato alla propria autenticità, lasciandosi alle spalle l’uragano di successo e fama che lo ha travolto prima che se ne potesse rendere conto. Leggendario è credibile, c’è poco altro da dire, è reale, tangibile, determinato. Un disco di Side, in cui c’è anche Arturo, è la sua vita e le sue esperienze, ancora una volta, raccontate con il consueto stile che lo ha consacrato al grande pubblico.

Dopo tutto quello che hai vissuto come artista, senti ancora un po’ l’agitazione nei giorni di uscita di un tuo disco?
La verità è che non mi sono mai sentito davvero agitato all’uscita di un album, neanche per i primi lavori. Ho solo tanta voglia di uscire con la mia musica e far vedere a tutti quello che so fare meglio. Ho voglia di espormi, di raccontare come sto e come sto lavorando. Più che agitato sono in fermento, è una sensazione positiva.

Che periodo sta vivendo la tua carriera artistica?
Sto meglio del solito, è un buon periodo per me.

E la tua vita?
Mi sento bene come artista e come persona e credo che questo abbia influito molto sulla lavorazione del nuovo disco.

Ogni volta che ti ho incontrato in giro per Testaccio ho sempre pensato che tu non ti sia mai allontanato effettivamente dalle tue radici. Pensi che questo sia un valore aggiunto per la tua musica?
Non so se sia un valore aggiunto, anzi, nel pratico probabilmente un po’ mi danneggia. Se fossi a Milano, più vicino all’industria discografica, so che macinerei molto di più, in due giorni incastro dieci appuntamenti di lavoro, a Roma non è così. Però non mi riesco proprio ad allontanare da quello che è il mio, viaggiano talmente di pari passo la mia musica e il posto da dove vengo che sarebbe quasi impossibile per me distaccarmene. Lo avverto quasi come un bisogno fisiologico, se potessi portare Testaccio a Milano mi trasferirei.

Ti aiuta sapere che è quello il posto da cui vieni e che, probabilmente, non ti ci allontanerai mai?
Credo sia proprio il mio più grande punto di forza. Testaccio è casa mia, influenza la mia musica, il mio immaginario. Tutto quello che racconto è incentrato lì e, in verità, in tutta Roma. È il mio posto, in tutto e per tutto, e i miei lavori ne risentono in maniera positiva, sono pieni di elementi che riportano ai luoghi che ho vissuto da ragazzino e che continuo a vivere.

Quali sono le percezioni, le emozioni, gli elementi di ispirazione che ti hanno condotto verso la stesura di Leggendario?
La mia vita, la mia quotidianità. Quando scrivo faccio riferimento al mio vissuto, a tutto quello che mi succede intorno. Non mi ispiro molto ad altra musica, a quello che ascolto, in realtà mi piacerebbe saperlo fare, ma la mia narrazione è tutta incentrata su me stesso. È una sorta di diario personale in cui appunto tutto quello che vivo, è una necessità che ho.

Che valore hanno avuto e hanno due parole come “amicizia” e “famiglia” nella tua vita?
Ho pochi amici e me li tengo stretti, proprio per questo motivo per me questi due concetti spesso convergono. La mia famiglia è stata fondamentale nel mio percorso, sia di vita che artistico, senza di loro probabilmente non sarei qua. Sono molto fortunato, loro sono il mio primo supporto in tutto. Quando parlo di famiglia mi riferisco proprio al concetto allargato: i miei migliori amici, mio padre, mia madre, mia figlia, mia sorella. Hanno tutti un ruolo cruciale per me.

Sono le stesse persone che ti hanno aiutato ad affrontare i cambiamenti che ci sono stati nella tua vita?
Assolutamente, è anche grazie a loro se sono riuscito ad affrontare determinate dinamiche della mia vita.

Come hai affrontato il cambiamento e i momenti di difficoltà e quali consapevolezze hai raggiunto?
Consapevolezze tante, so che tutti gli errori mi sono serviti a migliorare, a essere quello che sono ora, a sapere dove mettere i piedi nei momenti duri. Il cambiamento lo affronto sempre malissimo, anche se riguarda le cose più banali della mia vita, affronto tutto male, ma alla fine riesco sempre a uscirne, in un modo o nell’altro.

Se parliamo di cambiamenti mi viene da pensare alla paternità. Cosa ha rappresentato per te?
È una di quelle cose della vita che non si può spiegare, non può reggere paragoni. È una di quelle cose che devi vivere per capirle fino in fondo, puoi fartici un’idea, ma finché non ti ci trovi dentro non saprai mai cosa si prova. L’essere padre mi rende molto felice e mi ha aiutato, mia figlia è la bambina più bella del mondo. All’inizio non è stato facile, ho affrontato le difficoltà che credo tutti i padri affrontino per la prima volta. Niente di così rilevante, ma mi rendo conto di star imparando a essere un buon padre, non ci nasci, devi apprendere con il tempo, io ho dovuto cambiare le mie abitudini e i miei comportamenti.

Hai avuto modo di sperimentare nel nuovo album?
Mi sono divertito a cambiare stile in un paio di pezzi. Penso ad esempio al featuring con Yung Snapp e MV Killa, abbiamo costruito una traccia atipica in cui ho giocato un po’ e mi sono allontanato dal mio per sperimentare. È stato divertente, li rispetto come artisti e gli voglio molto bene, ogni volta che vado a Napoli mi sento a casa ed è molto importante per me sentirmi a mio agio con gli artisti con cui collaboro. L’idea è arrivata dopo varie volte in cui sono stato a Napoli, abbiamo pensato di coinvolgerli e ci siamo beccati da subito in studio per registrare il brano.

Come affronti la scrittura di un testo?
È un momento istintivo. Vado in studio, ascolto la base e scrivo tutto in freestyle. Scrivo sempre e solo così, di getto. Non ho mai fatto in altro modo, non ho mai scritto un testo pensandoci sopra giorni, succede sempre tutto in maniera molto immediata. Sempre seguendo il concetto della musica come sfogo, è tutto un flusso che avviene in studio, non ho mai niente di preparato quando arrivo per registrare.

Sugli altri featuring, c’è un po’ della vostra storia e della vostra amicizia in Guerra con Rasty?
Rasty
è mio fratello, ci conosciamo da una vita, quando io avevo undici anni frequentavamo lo stesso negozio hip hop a Roma, lui era un po’ più grande di me e lo ricordo come fosse ieri. Tra l’altro appena è uscito da alcune situazioni complicate sono stato uno dei primi a collaborarci, è un fratellone per me, siamo in ottimi rapporti e ho un grande rispetto per lui. Dovrebbe avere più visibilità di quella che ha per quanto spacca.

Abbiamo già detto che non ti ispiri ad altra musica nei tuoi dischi, ma c’è qualche artista che riesce a influenzarti?
Forse l’unico che è riuscito davvero a influenzarmi e ha formato un po’ il mio modo di scrivere è Lil Wayne, ci sono cresciuto. Io ascolto musica molto diversa da quella che faccio, quindi è difficile che io riesca a prenderne qualcosa per i miei brani. Mi ispiro più che altro al modo di lavorare, alla presenza scenica, aspiro a raggiungere obiettivi di grandi rapper americani, ma una cosa è certa: non ho mai fatto una traccia ispirata a un’altra traccia.

Senti di rappresentare chi ascolta la tua musica?
So di rappresentare molte persone. Lo vedo da quello che mi scrivono, da come mi parlano. So di aver influenzato generazioni diverse, a partire dagli anni con la Dark Polo Gang fino ad arrivare ai dischi da solista.

Ti senti ancora vicino all’immaginario della Dark Polo Gang o te ne sei distaccato?
Quella è una parte di me, della mia vita. Raccontavamo quello che stavamo vivendo in quel periodo storico, le cose cambiano, ma quello resterà sempre un capitolo importante che tutt’ora mi porto dietro.

Altre influenze artistiche che non siano musica?
Il cinema di sicuro e la moda. La filmografia di Scorsese, i classici gangster come Quei bravi ragazzi, sono tutti riferimenti che ritornano spessissimo nella musica che faccio.

Cosa vuol dire per te Leggendario?
Leggendario è quello che ho fatto per la musica, dagli inizi della mia carriera. È diventato un pezzo di storia del genere, è roba che resterà a prescindere da tutto nella memoria di tantissime persone. Voglio continuare a esprimere quello che sento, il mio rap non è un’unica storia da raccontare, è uno sfogo continuo che vorrei arrivasse a tutti i ragazzi che hanno avuto i miei stessi problemi, che hanno vissuto le mie stesse esperienze, sia negative che positive.

Mi racconti gli inizi… dove è cominciato tutto.
Io faccio rap da quando ho memoria, da quando avevo sette, otto anni. La svolta è arrivata quando ho conosciuto Pyrex al liceo e ci ha legati fin da subito la passione per il genere. Dai nostri quattordici anni fino a oggi abbiamo condiviso la nostra musica, è sempre stato il nostro punto di incontro. C’è stato un periodo in cui gli amici più grandi ci spronavano a continuare, a motivarci, si impegnavano per portarci in studio, credevano in quello che stavamo facendo. Ricordo che io e Pyrex, durante le vacanze estive a Livorno, registrammo un mixtape, si chiamava The Dark Tape. Da lì poi sono arrivati Tony e Wayne. Frequentavamo tutti casa di Wayne perché viveva già da solo in un appartamento molto grande. Un po’ giocando, un po’ portando avanti questa idea che ci era venuta, abbiamo coinvolto anche altre persone ed è partito tutto.

Quali sono i tuoi sogni in questo momento?
Essere felice, fare un sacco di soldi e vedere mia figlia crescere.