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Fast Animals and Slow Kids, dal Mi Ami con amore

I Fast Animals and Slow Kids ripartono per il loro tour estivo dal MI AMI Festival, con la responsabilità di essere headliner. «È il posto giusto per arrivare al maggior numero di persone possibile»

Ogni festival ha il suo pubblico, il suo spirito, il suo lessico. Ma il Mi Ami è un’eccezione: è quel luogo dove la musica vive per davvero, dove il pubblico sa ascoltare, anche quando non conosce. È da qui che i Fast Animals and Slow Kids ripartono per il loro tour estivo, con la responsabilità di essere headliner in una nuova location. In questa intervista ci raccontano cosa rappresenta per loro questo festival, tra ricordi di caviglie rotte e brani che non canteranno mai. Perché a volte la musica serve solo a chi la scrive. E il MI AMI Festival, da sempre, sa riconoscere anche questo.

Quarto MI AMI Festival, nuova location. Da qui parte il vostro tour estivo. Aspettative?
Aimone Romizi
: Il MI AMI è strano perché sai cosa aspettarti: una bella data. Lo standard è sempre molto alto. Il pubblico è molto cosciente e sai che avrai di fronte anche qualcuno che magari non ti ascolta e ti scopre in quel momento. Sei in un contesto dove la gente può apprezzarti, poi tutto può succedere, ma è una cosa importantissima in Italia.

Perché?
Aimone Romizi
: Si sgomita molto ed è difficile trovarsi in situazioni “giuste”. Il MI AMI Festival, invece, è proprio il posto giusto per far sentire i Fast Animals and Slow Kids al maggior numero di persone possibile.

Come giustamente dicevi ci sarà anche chi vi ascolta per la prima volta.
Aimone Romizi
: Quest’anno siamo anche headliner, quindi gli riconosciamo anche l’importanza che ha. Ci piace però questo aspetto per cui, nonostante questo slot, ci sarà qualcuno che dice “ma questi chi sono?”. Quindi devi impegnarti, perché lo scopo è raggiungere il maggior numero di persone possibile e spiegare loro perché fai questo mestiere. Il MI AMI è tutelante, mi sento di dire. Tutela la musica, un bene sempre più di consumo e facile da ottenere ed essere qui significa essere in un posto in cui tutto questo non è dato per scontato.

Avete un ricordo particolare legato al MI AMI?
Jacopo Gigliotti
: Ne abbiamo trecentomila.
Alessio Mingoli: Penso alla prima volta che abbiamo suonato qui, alla gratitudine che abbiamo nei confronti di questo festival, anche perché fin da subito abbiamo suonato sul main stage che a quei tempi si chiamava “Pertini”, di pomeriggio e eravamo un po’ inguardabili (ride, ndr.).
Aimone Romizi: A quel concerto c’era poca gente, forse centocinquanta persone. Ricordo però che era così bello suonare su un palco così bello e importante, arrivando da Perugia e avendo fatto quattro concerti in croce. Lo ricordo come il momento in cui ho pensato “sto iniziando a fare il musicista”. E abbiamo fatto di tutto, eravamo carichi, e col palco in discesa la gente cadeva. Il giorno dopo ci hanno mandato le radiografie delle caviglie rotte, chiedevamo scusa a tutti e ci scrivevano “noo, concerto incredibile”. Un grande delirio davvero. Comunque il cambio di location mi gasa, è davvero un nuovo inizio.

C’è un brano che non suonerete mai, nonostante ve lo chiedano spesso, e uno che invece non potete non fare durante i live?
Aimone Romizi
: Quello che non faremo mai lo sappiamo: Come conchiglie. Ce lo siamo proprio detto.
Alessandro Guercini: Non l’abbiamo mai suonata e non lo faremo mai. Non abbiamo suonato insieme neanche per registrarla, l’abbiamo registrata e pubblicata a distanza durante il Covid. Rappresenta un momento molto delicato.
Aimone Romizi: Sì, c’era l’urgenza di raccontare dei momenti personali, li abbiamo racchiusi lì e gettati il più lontano possibile. Bisogna rivendicare il fatto che ci siano brani che servono solo a te, come essere umano, per dire delle cose, lanciarle nel mucchio e in parte togliersele di dosso. Ci siamo detti che non la suoneremo mai perché non vogliamo ritornare lì, l’abbiamo fatta per non esserci.
Alessandro Guercini: Non potremmo non fare Non potrei mai, invece. Ma anche il nuovo singolo Sei ore.
Alessio Mingoli: Più che alla singola canzone siamo legati ai momenti del concerto. Lo vediamo come un fluire di emozioni, e quindi ci sono canzoni che sono funzionali a tutto questo.
Aimone Romizi: Forse non è la felicità è un brano che, da quando è uscito, abbiamo sempre suonato dal vivo. Però, rispetto a determinati concerti, a volte ci chiediamo se è giusto suonarla. A volte può essere sacrificabile, perché la costruzione del live è troppo più importante delle canzoni in sé. I concerti sono unici e sono l’unica cosa rimasta ai musicisti.