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“Queer” di Luca Guadagnino è intimo, ma monumentale

Daniel Craig smonta l’icona Bond e si reinventa per Luca Guadagnino in “Queer”, un’opera concettuale ma profondamente emotiva che fonde erotismo, malinconia e decostruzione del mito maschile

Con Queer Luca Guadagnino per la prima volta adatta un romanzo dello statunitense William S. Burroughs. Scrittore amatissimo dalla Beat Generation, Burroughs è anche l’autore de Il pasto nudo, romanzo adattato da David Cronenberg nell’omonimo film del 1991. Proprio David Cronenberg è uno dei principali punti di riferimento di Queer, che può essere accostato a The Shrouds, l’ultima opera del maestro canadese: entrambi in film, infatti, hanno al centro l’ossessione del protagonista per il corpo della persona amata. Guadagnino prende ispirazione anche dall’estetica di Cronenberg, a sua volta influenzata dalla pittura di Francis Bacon. Il fatto che proprio l’autore di Scanners sia per Queer un punto di riferimento lascia intuire la particolarità del film: Guadagnino, aprendosi all’onirico e alla sperimentazione visiva, firma un’opera radicale e spiazzante, lontanissima dalla fruibilità di film come Challengers o Chiamami col tuo nome. Nell’ultima parte del film, il regista si ricollega addirittura a 2001: Odissea nello spazio, spostando su un piano individuale le suggestioni cosmiche del capolavoro di Kubrick. La trama di Queer racconta l’incontro dello statunitense Lee (Daniel Craig), intellettuale maturo esule in Messico, con il misterioso Allerton (Drew Starkey), di molti anni più giovane.

Lee, omosessuale e tossicodipendente, sviluppa nei confronti di Allerton un’intensa ossessione erotica e sentimentale, che lo porterà a chiedergli di accompagnarlo in un viaggio in Sudamerica: l’obiettivo di Lee è trovare lo yage, o ayahuasca, una potentissima droga che dovrebbe rendere le persone che la assumono capaci di comunicare senza parlare. La telepatia è per Lee la massima connessione raggiungibile da due esseri umani, controparte della fusione fisica che il protagonista desidera avere con Allerton. Il giovane, nonostante sia quasi sempre presente, è talmente riservato, spesso apertamente distaccato, da sembrare assente. Il film si configura quindi come la continua ricerca, da parte di Lee, di un vero contatto con l’uomo amato: nel cinema del regista l’amore coincide con il desiderio, e solo la messa in scena di un desiderio impossibile da soddisfare può raccontare l’amore assoluto. Guadagnino, mostrando senza filtri la dolorosa esperienza erotica del protagonista, si riappropria dell’origine etimologica del termine “queer”, inizialmente usato come insulto nei confronti delle persone LGBTQ+. “Queer” deriva probabilmente dal tedesco “quer”, che significa “di traverso”, “trasversale”: l’opera di Guadagnino è arricchita proprio dalla particolare prospettiva dell’autore, effettivamente omosessuale, che reinterpreta una serie di archetipi narrativi del cinema e della letteratura del Novecento.

La figura di Allerton è una rielaborazione del topos della femme fatale, mentre Daniel Craig, in quella che è probabilmente una delle più grandi interpretazioni dei questo decennio, mette in luce il lato represso di una mascolinità tradizionale incarnata al massimo grado proprio dal suo 007. L’attore britannico, anche volto del Benoit Blanc di Knives Out, si è detto interessato a lavorare il tal senso sulla sua figura attoriale, prestandosi a progetti che ribaltano l’immagine machista legata a Bond – in questo discorso rientra anche lo spot per Belvedere Vodka del 2022, diretto da Taika Waititi. Guadagnino conferma quindi il suo talento nell’utilizzo anche narrativo dei corpi attoriali di cui dispone: Timothée Chalamet, Tilda Swinton da The Protagonists a Suspiria, Zendaya in Challengers e ora Craig in Queer non si limitano a recitare, ma contribuiscono attivamente alla scrittura dell’opera. Controparte iper-autoriale di Challengers, comunque teorico ma in apparenza commerciale, Queer rappresenta la summa della poetica di Guadagnino, che, approfittando di una libertà espressiva impensabile per qualsiasi altro regista italiano contemporaneo, firma un’opera monumentale, concettuale ma profondamente emotiva.