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Gazzelle, il peso leggero delle emozioni vere

Al Circo Massimo, Gazzelle porta 54mila persone nel suo mondo fatto di canzoni-confessione ed emozioni nude. Nessun prologo, nessun artificio. È come entrare in una conversazione già iniziata, ma in cui tutti sanno perfettamente cosa dire

C’è una linea sottile tra il disincanto e la redenzione, tra il piangersi addosso e il raccontarsi per sopravvivere. Al Circo Massimo, Gazzelle la percorre tutta, metro dopo metro, davanti ai 54mila che sembrano averlo aspettato da una vita. È il suo concerto più grande, e il modo in cui si muove e canta racconta tutto quello che serve sapere: un artista che arriva a un traguardo importante senza tradire sé stesso. Un traguardo che si presenta senza fretta – come tutta la sua carriera. Costruita passo dopo passo, disco dopo disco, concerto dopo concerto. Una strada fatta più di parole sussurrate che urlate, lontana dai riflettori, ma con un legame sempre più profondo con chi c’era fin dall’inizio e con chi è arrivato col tempo, riconoscendosi in qualcosa di autentico. L’apertura è diretta, quasi disarmante: Punk, Meglio così, Fottuta canzone. Nessun prologo, nessun artificio. È come entrare in una conversazione già iniziata, ma in cui tutti sanno perfettamente cosa dire.

Il pubblico canta tutto, senza tregua. Gazzelle rimane lì, fedele a sé stesso, con quella presenza laterale che è sempre stata la sua forza. In fondo, la sua intera carriera si è costruita proprio così: senza mai sgomitare, senza mai rincorrere il centro. Anche su un palco così imponente, mantiene lo stesso passo di sempre. E riesce nel piccolo miracolo di rendere il Circo Massimo un luogo intimo. Il medley a metà concerto – Noi no, NMRPM, Coltellata, Nero, Ora che ti guardo bene, Piango anche io – rappresenta il momento più vulnerabile e vero della serata. Una sospensione, quasi una confessione condivisa in pubblico, che mette a nudo il cuore fragile delle sue canzoni. Non è spettacolo, è cura. Poi si riparte: Zucchero filato, Vita paranoia, Flavio, Scusa, Roma con Noyz Narcos, Tutto qui, Non sei tu, Destri. Ogni brano è un frammento di memoria collettiva, che ci riporta a un tempo preciso, a una stanza, a un volto, a qualcosa che abbiamo perso o salvato.

Il dato più evidente, quello che resta addosso dopo il concerto, è che Gazzelle non forza mai la mano. Non trasforma il live in un autoritratto celebrativo. Non ammicca al pubblico, non cerca di piacere a tutti i costi. Non sfrutta la portata simbolica del Circo Massimo per farsi monumento. Al contrario, la sua è una presenza discreta, che non rinuncia alla verità pur sapendo che non tutto va detto a voce alta. La pausa dai concerti, annunciata pochi giorni fa, non suona come una ritirata, ma come un’esigenza personale. Uno spazio per respirare, per rimettere ordine. Non c’è dramma, non c’è rottura. Solo il bisogno di sottrarsi, per tornare – forse – con qualcosa di nuovo da dire. E allora il concerto di Roma diventa qualcosa di diverso da un evento da ricordare per la quantità di spettatori. Diventa un rito collettivo, un’occasione per rivedersi negli altri e in sé stessi. Gazzelle non è l’artista del momento, e non vuole esserlo. È, piuttosto, il cantautore di qualcuno.

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