Search Menu
Search

Le confessioni senza maschere di Cceciux

Cceciux ha fatto della sua sensibilità acustica un codice d’accesso a sé stessa: nella sua musica convivono l’intimità e la tensione, la riflessione e il desiderio di fuga

Ogni città ha i suoi suoni, ma alcuni non si ascoltano: piuttosto si assorbono. Sono le frequenze basse dei passi notturni, le voci filtrate dai muri sottili, il cigolio regolare di un tram che passa sempre alla stessa ora. Cceciux ha fatto della sua sensibilità acustica un codice d’accesso a sé stessa: nella sua musica convivono l’intimità e la tensione, la riflessione e il desiderio di fuga. Le sue canzoni non cercano l’armonia facile, ma costruiscono spazi emotivi precisi in cui sentirsi accolti. Il bilinguismo, il silenzio, l’origine familiare musicale – tutto diventa parte di un paesaggio sonoro che è anche una biografia. In un tempo che impone ritmo e semplificazione, cceciux sceglie la lentezza e la profondità. Lo si evince da questa intervista in cui alle frasi ad effetto, preferisce autenticità e ricerca espressiva senza make up.

Qual è il primo ricordo legato alla musica che pensi abbia segnato il tuo destino come artista?
Come mi è già capitato di condividere in altre occasioni, io sono nata in una casa piena di musica in cui tutti hanno sempre suonato e cantato, quindi di ricordi legati alla musica ne ho di innumerevoli. C’è però un momento, in realtà semplice, che ricordo vividamente tuttora e che mi ha segnata molto. Avevo circa dieci anni, tra non molti mesi avrei dovuto iniziare le medie ed i miei avevano pensato ad una scuola ad indirizzo musicale. Nel parlarne, mia madre mi spiegò molto amorevolmente che non ero obbligata, che se sentivo che la chitarra non era qualcosa che mi avrebbe fatto piacere continuare non dovevo necessariamente farlo ed in quel momento pensai che non riuscivo a pensare di non continuare con la musica. Ero proprio piccola eppure ricordo benissimo ogni dettaglio di quel momento e soprattutto l’ingenuo eppure così intenso dispiacere all’idea di non continuare. Mi sentii molto persa ed angosciata all’idea di togliere quella componente dalla mia vita. Penso che sia stato uno dei primi momenti in cui ho realizzato quanto la musica fosse parte essenziale ed insostituibile della mia personalità.

In che modo le tue origini italo-brasiliane influenzano la tua visione artistica e la tua scrittura musicale?
Ho sempre considerato il crescere in un contesto bilingue e biculturale una delle ricchezze più grandi della mia vita. Ora poi che sono cresciuta e ho iniziato a fare musica mi rendo conto di quanto sia un patrimonio artistico inestimabile. Per me rappresenta un vero e proprio ponte con un’altra parte del mondo che mi permette di avere accesso anche a quella realtà e di attingerne. Il motivo per cui amo incorporare più lingue e culture in quello che scrivo è perché trovo meraviglioso il modo in cui ampliano gli orizzonti artistici e musicali, creando allo stesso tempo un senso di connessione e umanità.

Proprio perché fai parte di una famiglia di musicisti immagino che la vostra non sia stata una casa silenziosa, eppure la tua musica sembra frutto di riflessione. Qual è la tua relazione con le cose intangibili?
È proprio così, casa nostra non è mai stata silenziosa e l’ho sempre amata anche per questo. Sono cresciuta in un ambiente in cui c’era tendenzialmente quasi sempre qualcuno al piano o alla chitarra e questo mi ha sempre spronata e arricchita molto. La musica, come ogni forma di arte, è senz’altro frutto di riflessione e raccoglimento e penso che siano momenti essenziali per ogni artista. Anzi, purtroppo sono una persona che si sente molto facilmente sovra-stimolata dalla realtà circostante quindi questi momenti di “disconnessione” dal mondo non sono solo aria fresca per la mia sensibilità artistica ma anche un vero e proprio bisogno per il mio sistema nervoso.

Ad esempio i momenti di assenza dalla musica sono degli alleati creativi o una presenza inquieta?
Decisamente alleati creativi. Non sempre, ma nella maggior parte dei casi per scrivere ho bisogno di tranquillità e calma mentale e, ricollegandomi alla risposta di prima, questo spesso significa azzerare completamente il rumore e gli stimoli eccessivi attorno a me. Io amo i rumori e i suoni della vita ma in altrettanto modo amo stare in silenzio e penso che questi “momenti silenziosi” non siano per nulla una cosa scontata al giorno d’oggi. Molto spesso mi piace prendermi momenti per sedermi e semplicemente godermi il silenzio. Guardare con attenzione ciò che mi circonda, concentrarmi sui miei respiri e vivere un momento di “vita lenta”. Spesso questi momenti mi danno anche l’opportunità di dare voce o ascolto a qualcosa dentro di me che non ha avuto modo di esprimersi.

C’è un concetto, un’immagine o un suono che sogni di riuscire a catturare un giorno in una canzone e ancora non ci sei riuscita?
Amo l’idea che la mia musica e arte facciano da paesaggio per le cose ed esperienze più significative per me. Una cosa che amerei mettere in musica è Milano, non solo la città in cui sono nata e cresciuta ma il posto che posso chiamare casa e in cui mi sento accolta e capita. Da tantissimo ho in mente una canzone dedicata a lei in cui mi piacerebbe proprio incorporare i suoni che sento ogni giorno e che ne sono diventati caratteristici per me, come la voce registrata della metro quando sento la mia fermata, il suono dei tornelli quando passo la tessera, il suono delle rotaie del tram 16, la bellezza del vedere i raggi di sole da piazza Cordusio che si posano dolcemente su tutti i palazzi attorno.

Cosa ti spinge a scrivere? È più un’urgenza emotiva, una forma di catarsi o un bisogno di connessione?
Direi che sono tutte e tre, e anche molti altri motivi; uno non esclude l’altro. Se dovessi riassumerlo in qualcosa di più circoscritto direi che scrivere è il mio modo di vivere e processare il mondo attorno a me e in generale la mia vita. E a questo punto è talvolta una forma di catarsi, talvolta un’urgenza emotiva, un bisogno di connessione, il modo per immagazzinare un ricordo meraviglioso oppure di piangere e così via. È proprio il mio modo di vivere il mondo.

Il tuo lieve bilinguismo all’interno di Sono nata a giugno (Come il mio primo EP!!) è un modo per accogliere più epicentri espressivi?
Decisamente sì. Era proprio il mio obiettivo con quella canzone. Il bilinguismo ma soprattutto il biculturalismo in cui sono cresciuta è qualcosa che sento molto parte della mia identità e ci tenevo molto a farlo trasparire nel mio primo progetto. Ho dato voce a una parte di me che spesso passa inosservata o che la gente semplicemente non conosce e adoro l’idea di aver incorporato un suono e un linguaggio diverso dalle altre canzoni del progetto ed in generale dalle canzoni pubblicate in precedenza.

È il suono delle parole o la natura dei concetti da esprimere che ti portano a scegliere in alcuni casi il portoghese rispetto all’italiano?
Nella maggior parte dei casi è perché penso a determinate cose o concetti in una lingua specifica e dunque prevale quella quando scrivo a riguardo. Un altro aspetto che spesso determina la mia scelta linguistica è l’unicità espressiva di alcune parole; certi concetti sono semplicemente intraducibili o comunque possono essere veicolati solo attraverso parafrasi lunghe che inevitabilmente perdono di potenza linguistica, per questo prediligo la loro lingua d’origine. Penso che questo sia uno degli aspetti più preziosi e inestimabili del linguaggio umano e trovo molto sensato e di grande ispirazione sfruttarlo quando scrivo qualcosa.

A tal proposito, raccontavi in una intervista di esserti sentita più protetta quando scrivevi in lingua inglese. Ti va di parlarmi di quando ti sei resa conto di essere pronta per metterti a nudo con una lingua così ricca di sfumature come l’italiano?
Ribadisco che è vero, ho sempre usato le lingue anche come schermo e protezione tra le mie esperienze ed emozioni ed il mondo esterno. Non è stato tanto un momento in cui io mi sono sentita pronta ma più che altro ho iniziato a vedere che le persone attorno a me avrebbero voluto sentirmi e vedermi senza maschere, che in questo caso, avendo io un pubblico principalmente italiano, significava iniziare a scrivere anche in italiano. C’è stato un momento di realizzazione in cui ho consciamente pensato che se volevo farmi conoscere per chi sono realmente e creare una connessione vera e genuina con le persone che raggiungo allora non potevo continuare a “nascondermi” e avrei dovuto fare il passo di coraggio di aprirmi ed essere un po’ più vulnerabile.

In Notte d’agosto parli di come un amore possa fare la differenza anche a trecento chilometri di distanza. È evidente che anche una canzone possa farlo, per cui ti chiedo: quale brano internazionale ha fatto maggiormente la differenza per te come autrice ma soprattutto come essere umano?
È vero, sono convinta che quello che parte dal cuore possa abbattere ogni distanza. Ci sono diversi/e artisti/e e canzoni che reputo pietre miliari del mio percorso di vita. Tra queste menzionerei di sicuro Dodie Clark con Secrets for the Mad. Quella canzone mi ha trovato in un momento delicato della mia vita, in cui stavo crescendo ed evolvendo sotto molti punti di vista ed iniziavo a relazionarmi con nuovi aspetti della realtà e in un certo senso mi ha presa per mano ed accompagnata in quel percorso. Sento che è stato un tassello molto importante del mio passaggio da ragazzina a donna e tuttora è una canzone a cui torno quando mi sento persa o intimorita dal futuro e dall’ignoto, perché adoro l’accezione così incoraggiante e compassionevole che trasmette a riguardo, ricordandomi quanto sia meraviglioso cambiare, sbagliare, scoprire, scoprirsi. Mi riporta alle radici di cosa significhi la vita vera e mi aiuta ad avere un’attitudine di gratitudine.