dark mode light mode Search Menu
Search

Il successo planetario di Tom Walker

«Ho iniziato come addetto alle foto durante i party», mi risponde Tom Walker appena gli chiedo di raccontarmi il suo passato. «Ero fondamentalmente colui che stava dietro ai bambini al posto dei genitori molto ricchi e molto ubriachi. Erano probabilmente i futuri avvocati di Londra ma erano fuori di testa! Ogni volta rischiavo che mi rompessero la macchina fotografica e ogni volta pensavo: caspita, voi dovrete un giorno occuparvi di come funziona il nostro Paese». Oggi Walker – a distanza di qualche anno da quell’esperienza lavorativa – è nella top ten di mezzo mondo con il singolo Leave a Light On, un brano che unisce due storie vere scritto in collaborazione con uno dei grandi del pop mondiale, Steve Mac (il produttore di Shape of You e What About Us, giusto per intenderci).

Considerato da molti il nuovo Ed Sheeran (anche se lui non è molto d’accordo), Walker sta registrando proprio in questi giorni con Jim Abbiss (già produttore dei Kasabian e Adele) il suo album di debutto che – ci confida – uscirà nei prossimi mesi per Sony Music. La formula del suo successo? In studio si ispira alla band che segue da sempre, gli Artic Monkeys di Alex Turner: «Loro entrano in una stanza e non ne escono finché la canzone non è perfetta. Mi ispiro a loro in questo».

In pochi mesi sei riuscito a raggiungere i vertici delle classifiche mondiali, in Italia sei tra i dieci artisti più trasmessi nelle radio e su Spotify hai totalizzato qualcosa come 50 milioni di riproduzioni. Immagino tu abbia coronato il tuo sogno. Come ci si sente?
A dire il vero è successo tutto così velocemente che non saprei descrivere come mi sento. Sono davvero emozionato e mi sembra tutto davvero fantastico.

Hai inoltre girato l’America con i The Script, come è stato suonare per il loro pubblico?
All’inizio ero abbastanza preoccupato, ma alla fine il pubblico è stato fantastico. A New York ho suonato davanti a sei mila persone e mi sembrava incredibile. Ero già stato in tour con altre band prima, ma questa volta è andata particolarmente bene. I ragazzi (gli Scripts ndr.) sono fantastici.

Essendo cresciuto a Manchester, la domanda e d’obbligo: Oasis o Stone Roses?
Preferisco di gran lunga gli Oasis. La risposta è scontata, non c’è bisogno di pensarci su né di spiegare perché.

A proposito di Oasis, in Supersonic, il docufilm di Mat Whitecross, viene raccontata una Manchester avvolta a 360° dalla musica. È ancora così?
È vero, Manchester è una delle città più importanti a livello musicale. La comunità è davvero molto forte. Le persone sono orgogliose e allo stesso tempo molto fiere, e questo si riflette anche nella musica.

Come hai vissuto l’orrendo attacco terroristico che ha colpito la tua città?
È stato davvero terribile, ma quello che mi ha colpito maggiormente è stato come un gruppo di persone abbiano potuto fare una cosa così orribile contro dei loro coetanei che si stavano riunendo in un momento di gioia e condivisone. Alla Manchester Arena ho visto tutti i concerti delle mie band preferite, dai Foo Figheters ai Muse, perciò quell’evento mi ha toccato in maniera particolare. Ma so che Manchester è una città forte e si riprenderà.

Da ragazzino registravi autonomamente tutti gli strumenti per mancanza di persone, poi d’un tratto te ne sei trovate addirittura dodici, con alcuni dei quali facevi delle vere e proprie jam session. Preferisci lavorare da solo quando scrivi oppure preferisci la contaminazione artistica?
Entrambe. Di solito quando scrivo lo faccio da solo, ma mi piace suonare con la band. Il mio gruppo preferito da sempre sono gli Artic Monkeys, che di solito entrano in una stanza e non ne escono finché la canzone non è perfetta. Mi ispiro a loro in questo.

Molti ti definiscono il nuovo Ed Sheeran. La cosa ti fa piacere o ti mette pressione?
Per me è un onore, non sento alcuna pressione. Molte persone mi paragonano ad Ed, ma secondo me non ci sono poi tanti termini di paragone fra me e lui. Comunque, a livello globale lo considero il miglior artista su piazza, dunque tutto ciò mi lusinga.

Una delle mie canzoni preferite è Heartland, un brano che parla di tentazione e di limiti da non oltrepassare. Qual è il tuo rapporto con gli eccessi?
Dipende dalle situazioni. A volte le rispetto e altre le infrango. Da musicista posso dire che in tour è facile lasciarsi coinvolgere, ma io e i ragazzi della band siamo persone molto giudiziose, non siamo così rock & roll come si potrebbe pensare (ride). Secondo me ci vuole il giusto mezzo fra le due cose. Durante il tour siamo stati attenti ad andare a dormire presto così da poterci riposare abbastanza, poi alla fine del tour abbiamo festeggiato in grande.

Tra l’altro ho saputo che attualmente stai registrando il nuovo disco con Jim Abbiss, produttore di Kasabian, Adele, Arctic Monkeys e The Kooks. Come ci si sente a lavorare con un grande della musica come lui?
È bellissimo. Abbiamo tanti strumenti a disposizione. Lui è molto equipaggiato ed è un po’ Old Fashioned. È un mago con le voci ed è una bella esperienza lavorare con lui.

Il tuo disco preferiti degli ultimi anni?
L’album che ho preferito è stato quello di Loyle Carner, che è un rapper inglese. Adoro la sua The Isle of Arran.

Ho letto che la tua musica è influenzata da molti artisti, tra cui anche John Mayer (che io adoro). Durante un’intervista, invece, hai detto che potendo scegliere un artista, vivo o morto, con cui duettare, sceglieresti Ray Charles. Dato che io mi chiamo Giorgia, e Why Georgia di Mayer e Georgia on My Mind di Charles sono due delle mie canzoni preferite da sempre, devo chiedertelo: hai intenzione di scrivere una canzone per me?
Sarebbe fantastico, Adoro Georgia on My Mind, chissà magari un giorno…