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Blanco porta dal vivo le paranoie della generazione Z

Blanco l’ho scoperto su SoundCloud alla fine del primo lockdown, prima ancora dell’uscita di Belladonna (Adieu) e Notti in bianco che dettarono un po’ la colonna sonora di quella strana estate italiana del 2020. È stato in quel periodo che mi chiamò il suo attuale ufficio stampa per propormi di intervistarlo. Ricordo che dopo una serie di domande sui lavori appena usciti, l’aldilà e la scelta di mettersi letteralmente a nudo, gli chiesi se, oltre la musica, si vedesse fare altro nella vita e lui, con la sincerità dei suoi 17 anni, mi rispose di no. A due anni da quell’intervista e a due mesi dalla settimana in riviera ligure che gli ha aperto le porte dell’Eurovision, Blanco oggi è un artista da oltre 4,5 milioni di ascoltatori su Spotify (Mi fai impazzire con Sfera Ebbasta è, dati alla mano, il secondo singolo di maggiore successo dello scorso anno), simbolo di una generazione che sta rivoluzionando una scena musicale rimasta per troppo tempo ancorata al passato.

Con una band guidata da Michelangelo, Jacopo Volpe (Salmo, The Bloody Beetroots, Gemitaiz) e Emanuele Nazzareno, all’Atlantico di Roma – quinta data del suo tour nei club che, data la richiesta di biglietti, si sarebbe potuto tranquillamente trasformare in un tour nei palazzetti – Blanco racconta in un’ora e un quarto tutte le sue paranoie, i suoi 19 anni e le storie sbagliate, ormai affogate nella nostalgia: dai pezzi mai pubblicati ufficialmente (non chiedetemi il perché, ma tutti conosco a memoria) fino ai brani dai ritornelli formato stadio che, vuoi o non vuoi, sono già entrati nel greatest hits della musica italiana. L’apertura è affidata a Mezz’ora di sole a cui seguono Paraocchi e Figli di puttana. L’autenticità che porta sul palco è disarmante al punto che anche le imprecisioni, le parole dei versi dimenticate e le insicurezze diventano parte fondamentale di uno spettacolo figlio delle migliori produzioni internazionali in circolazione («Fare un concerto è meglio che scopare», dice). La scenografia curata da Fabio Novembre riproduce la sua cameretta, il luogo dove è nato il disco Blu Celeste che sul palco porta nella sua totalità, compresa la ghost track Follia che suona come un inno al non avere limiti (“Ho voglia di fare solo casino/Ho voglia di, di fare come un bambino/Ho voglia di farmi solo sentire/Ho voglia di lanciarmi dal cielo”, canta sul finale).

«Volevo riportare la stessa vibrazione che ho provato allora al pubblico. Per me è importante che i fan possano entrare nella mia dimensione. Le pareti della stanza, riprodotte in grafica, sono quelle della casa di Michelangelo, dove abbiamo girato il video di Notti in bianco con soli duemila euro di budget», racconta. A fine serata, tra set acustici e tracce complete, saranno venti le canzoni incastrate in scaletta, con un encore (La canzone nostra-Brividi-Notti in bianco) da 270milioni di streams su Spotify. Insomma, il Blu Celeste Tour alla fine ci conferma quello che da Notti in bianco in poi è stato chiaro a tutti, ovvero che Blanco è il presente ma soprattutto il futuro della musica italiana. Mentre cammino sul viale che porta dall’Atlantico al parcheggio, non riesco a non ripensare a quella risposta che mi diede in quell’intervista: effettivamente aveva ragione, il suo posto è sul palco e da nessun’altra parte.


Foto di Valeria Magri