dark mode light mode Search Menu
Search

Chris Jagger: «Credo che il rock sia morto»

Nel 1973 mentre Mick Jagger scalava le classifiche di mezzo mondo cantando “Angie, you’re beautiful/But ain’t it time we say goodbye”, suo fratello più piccolo, Chris Jagger, pubblicava il suo primo disco, You Know the Name But Not the Face. Da quel giorno sono trascorsi oltre quarant’anni (quarantacinque per la precisione) e Chris è ancora sulla cresta dell’onda pronto ad affrontare un nuovo tour che lo porterà in Italia a metà marzo per cinque date nei teatri (il 14 a Milano, il 15 a Pordenone, il 16 a Firenze, il 17 a Brescia e il 18 a Bolzano).

Quarantacinque anni di carriera che Chris ha deciso di festeggiare con All The Best, una raccolta di sedici canzoni che racchiude il meglio della sua discografia: «La selezione dei brani è stata molto difficile. È stato un po’ come dover creare una scaletta di un concerto. Alla fine, ne è uscito un best of abbastanza rockeggiante, nonostante abbia inserito anche qualche pezzo più tranquillo e persino una traccia country».

Nel best of ci sono anche le collaborazioni con Mick, David Gilmour e Sam Brown. Qual è quella che ti rende più orgoglioso?
Probabilmente Dj Blues. L’ho scritto pensando a Mick ed è stato l’ultimo brano ad essere inserito in Act of Faith. La canzone l’abbiamo registrata in un piccolo studio di Londra in meno di un’ora. È stato veramente fantastico.

All The Best è anche il tuo unico disco che si trova su Spotify. Cosa ne pensi delle piattaforme streaming che secondo molti stanno uccidendo la musica?
Oggi sono molto utilizzate, resta da capire quanto l’artista ci guadagna. Personalmente, da ascoltatore, la musica preferisco possederla anziché affittarla.

Indubbiamente la musica sta attraversando un periodo di crisi, non solo dal punto di vista delle vendite ma anche dei contenuti. La colpa secondo te è degli artisti o del pubblico?
Tempo fa i musicisti erano pagati per apparire in TV o per andare in radio, poi la TV ha cominciato a volerli gratuitamente, sostenendo che gli artisti ci avrebbero guadagnato successivamente con la vendita dei dischi. L’ho già spiegato all’epoca, che cosa succede se poi non ci guadagni con la vendita dei dischi? Sei costretto a scendere a patti con la pubblicità. Questo fenomeno è stato ben raccontato negli anni sessanta dagli Who con The Who Sell Out. Fu un disco profetico.

C’è qualcosa di nuovo nel panorama del rock che ti piace?
Non so, credo che il rock sia morto anche se negli ultimi anni ho ascoltato molto Mark E. Smith (frontman dei The Fall scomparso lo scorso gennaio ndr.), aveva delle ottime idee.

Raccontami un aneddoto per ogni personaggio che ti nomino. John Lennon.
Con lui e John Dunbar (l’artista inglese che presentò Yoko Ono a Lennon nel 1966 ndr.) ho trascorso una serata in un appartamento a Chelsea. Quella sera Lennon suonò Ballad of a Thin Man più alla Bob Dylan di quanto Bob stesso avrebbe potuto farla.

Keith Richards.
Keith è stato davvero gentile con me. Quando sono rientrato dall’India nel 1969 mi ha ospitato per un periodo nella sua casa a Chelsea dove abitava con Anita Pallenberg e il figlio Marlon.

David Gilmour.
Con Gilmour ho accordato la prima Stratocaster che sia mai stata realizzata: numero seriale 00001, o qualcosa del genere. Mi disse che se la chitarra avesse raggiunto il valore di un milione di bigliettoni l’avrebbe venduta e donato il ricavato ad un senzatetto.

Gene Simmons.
A Gene ho venduto un basso che ha poi utilizzato per la scenografia di un videoclip. Quando gli ho comunicato il prezzo non ha battuto ciglio e ha esclamato qualcosa del tipo: «Lo sai quanto ho pagato per questi vestiti?».

Quali sono le cinque canzoni che ti hanno cambiato la vita?
I’m a Man di Muddy Waters, Like a Rolling Stone di Dylan, Purple Haze del grandissimo Hendrix, Le quattro stagoni di Vivaldi e My Favorite Things di Coltrane.

Invece quali sono i brani degli Stones che preferisci?
Te ne posso dire quattro: Paint it Black, SatisfactionJumpin’ Jack Flash e Sweet Virginia.

A proposito degli Stones, ho letto negli ultimi giorni un’intervista a Charlie Watts dove si parla della fine della band. Credi continueranno a suonare ancora a lungo?
Se lo sapessi andrei di corsa in un centro scommesse. Non credi?