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Scott Helman: «Il sogno degli stadi e quella canzone scritta con Shawn Mendes»

Tra dieci anni Scott Helman si vede a fare «il tutto esaurito negli stadi». Gli stessi stadi che negli ultimi vent’anni hanno ospitato gli show dei suoi idoli musicali, da Bruce Springsteen e Neil Young ai Pink Floyd e Shawn Mendes, con cui ha addirittura scritto una canzone: «Ci siamo conosciuti quattro anni fa ad un concerto. Da allora siamo rimasti amici». Nel frattempo però il suo habitat rimane quello dei club di mezzo mondo.

Dopo essere stato in tournée negli Stati Uniti, Asia e Australia ed essere stato protagonista a Montreal di uno show in memoria di Leonard Cohen di fronte a più di 50mila spettatori, Scott si prepara ad approdare in Europa con dieci date nelle principali città (per i fan italiani l’appuntamento è per il 2 maggio al Rock’N’Roll Club di Milano).

Qual è l’aspetto più canadese del tuo carattere?
Probabilmente il mio costante chiedere scusa. Le persone in Canada si scusano spesso, anche quando non hanno fatto nulla di sbagliato. Chiedo persino scusa mentre tengo aperta la porta a qualcuno (ride).

Sei appena rientrato dall’Australia (ha suonato a Sydney e Melbourne ndr.) e ad aprile partirà il tour europeo. Come stai vivendo questo momento della tua vita?
Adesso sto lavorando ad alcuni videoclip e sto scrivendo nuove canzoni. Ho alcune idee in mente che vorrei tirar fuori prima di riprendere la tournée.

Raccontami la tua vita on the road in meno di duecentoquaranta caratteri.
Bizzarra, appassionante, frenetica, divertente, terrificante, bellissima, piena d’amore, dischi di platino, nomination, conversazioni d’amore, aerei, treni, autobus e amicizia.

A proposito di tour. Di questi tempi fare la rockstar è dura, soprattutto se si hanno vent’anni, se poi si gira mezza America dove in molti Stati è vietato bere fino a ventuno anni, deve essere proprio un incubo. Come hai gestito questo aspetto?
Ho alcuni buoni amici negli States che mi somigliano, avevano delle vecchie patenti di guida, dunque ci sono riuscito. Per fortuna ora ho ventidue anni (ride).

Tra i tuoi artisti preferiti ci sono gli Arcade Fire. La loro canzone più famosa è forse Ribellion, tu sei un tipo rivoluzionario?
La rivoluzione sembra essere dolorosa e disastrosa mentre la ribellione è sicuramente un termine che mi appartiene. Credo che la ribellione personale sia importante. Ti mostra che tu puoi avere capacità, autonomia, libertà e ti tiene ancorato a ciò in cui credi. Ho trascorso gran parte della mia adolescenza a ribellarmi, perciò a questo punto è diventata un’abitudine.

Un altro tuo idolo è Leonard Cohen, anche lui canadese come te. Cosa ti ha insegnato la sua musica?
Cohen mi ha insegnato che il potere delle parole è di massima importanza e devono essere rispettate come se ognuna avesse il potere di cambiare la tua vita.

A proposito di artisti che segui, tu e Shawn Mendes siete molto amici, come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti quattro anni fa ad un concerto. Lui era la star principale al Danforth Music Hall (uno dei principali Festival musicali canadesi ndr.) ed io ho avuto l’opportunità di aprire il suo show. Da allora siamo rimasti amici.

Oltretutto Mendes qualche anno fa ti ha proposto su Twitter di collaborare ad una canzone, l’avete più fatto?
Sì. Siamo finiti a scrivere una canzone durante una cerimonia di premiazione. Poi l’abbiamo terminata via Skype.

Dove ti vedi tra dieci anni?
A fare il tutto esaurito negli stadi.