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Roger Waters e i peccati dell’umanità in scena a Milano

L’esperienza che per due volte consecutive Roger Waters ha regalato agli spettatori del gremito Mediolanum Forum trascende la semplice esibizione: difatti, giunto ai suoi settantaquattro anni di età, conserva una grinta ed un’energia travolgente, quasi si rifiutasse di accogliere gli anni che, inevitabilmente, passano inesorabili. Questa suo impeto diventa necessario non solo per coinvolgere al massimo delle sue capacità il pubblico (letteralmente in visibilio per tutta la durata dello show), ma soprattutto per trasmettere il suo importante messaggio politico-sociale. Che Roger Waters cercasse con la sua musica di denunciare le minacce e i pericoli del mondo di tutti i giorni non è una novità, tuttavia sembra questa la vera finalità dell’intero spettacolo. Non sono mancati quindi riferimenti alla corruzione tra i politici, alle stragi belliche che si verificano ogni giorno, alla diffusione sempre più su vasta scala delle armi sul suolo civile e in particolare al classico uno percento della popolazione che possiede la gran parte della ricchezza distribuita sul globo. Nel primo tempo a comunicare le tragedie che passano sullo schermo gigante sono il basso e la voce di Waters, regalando alle sue esibizioni una maggiore intimità e dando al pubblico un forte senso di nostalgia. A questa rievocazione dei bei tempi andati, ma con un attento sguardo alla contemporaneità del mondo musicale, Waters conclude la prima parte del concerto con Another Brick in the Wall.

A salire sul palco insieme a lui sono dei bambini (milanesi) travestiti da prigionieri di Guantánamo che, in seguito al coro, si strappano le vesti mostrando fieramente la scritta RESIST sulla loro maglietta: una sorta di assaggio a quella che sarà la china di un particolarmente aggressivo secondo tempo, iniziato dopo una ventina di minuti di meritata pausa del bassista. Se nella prima parte del concerto il messaggio arriva comunque forte e chiaro, ma in maniera non così incisiva come si spererebbe, nella seconda parte, anche grazie ai mastodontici allestimenti imbastiti per l’occasione, Waters riesce a far immergere completamente il suo pubblico all’interno della sua mente e della sua visione delle disgrazie che affliggono il mondo, oggi come ieri. Il bersaglio principale dell’attacco di Waters è stato indubbiamente Donald Trump, al quale non ha destinato solamente qualche frecciatina, ma un vero e proprio assalto all’ideologia che il neo presidente ha portato e continua a portare avanti con il suo programma politico, riferendosi a molte sue agghiaccianti deposizioni. A lui è infatti dedicato uno dei momenti più iconico della serata, ovvero l’esecuzione di Dogs, Pigs and Money, contornata dal passaggio di un gigantesco maiale fluttuante, simbolo delle bank of war e, ovviamente, anche del Presidente il cui pulsante nucleare é più grosso degli altri. L’impatto generato dalle imponenti scenografie non si traduce in una sparizione del leggendario bassista, che, al posto di essere sopraffatto dalle immagini proiettate, diventa il conducente di una vera e propria catabasi, un viaggio sempre più nel profondo all’interno del concetto di peccato umano.

Il concerto si conclude con un’ascesa, una liberazione dalla realtà distopica nella quale ci troviamo intrappolati: il muro della Battersea Power Station, fino ad allora protagonista dell’impianto scenografico, scompare sulle note di Us and Them, facendo vedere al pubblico l’altra parte del Forum, piena di persone in estasi per la potenza metaforica dei pugni allo stomaco che Roger Waters ci ha rifilato per quasi due ore, esattamente nello stesso stato in cui ci trovavamo noi, dalla parte opposta di quell’opprimente muro ormai svanito. A sostituirlo entra un prisma luminoso, intorno al quale orbita una una che mostra esclusivamente la sua faccia scura. L’incredibile spettacolo di luci accompagna l’esecuzione degli ultimi pezzi, ovvero Brain Damage, Eclipse e Comfortably Numb, al quale segue una giustificata ovation del pubblico. Per la prima volta in queste due ore, scompare la figura monolitica ed emerge l’uomo. Quel titano che è Roger Waters mostra dopo tempo dei segni di sfinimento, complici le due ore di durata del concerto e, con il poco fiato rimasto in gola, ringrazia con gioia e commozione gli spettatori di quello che, più che un concerto, è stata un’esperienza multisensoriale che ci ha ricordato nuovamente quanto sia necessario, al giorno d’oggi, reagire, provando ad abbattere questo muro che opprime le nostre esistenze.