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Afterhours: «La televisione non ci ucciderà»

Chi ascolta un certo tipo di musica in Italia ha degli autori di riferimento, delle bandiere da sventolare a spada tratta, canzoni e testi tatuati nell’anima di tutti quelli che sentivano, sentono e sentiranno sempre la necessità di essere diversi. L’eclettismo del loro rock, la profondità delle parole e la figura mistica di Manuel Agnelli.

Da icone underground a personaggi pubblici, ogni movimento degli Afterhours va analizzato e studiato con la stessa cura che loro hanno impiegato nell’arricchire costantemente l’arte del nostro Paese. Trent’anni di storia della nostra musica, trent’anni di Afterhours che sono stati festeggiati lo scorso aprile con un mega evento unico (e irripetibile) al Mediolanum Forum di Milano. Uno show che è stato celebrativo «ma anche molto rappresentativo di ciò che siamo», mi raccontano.

Trent’anni di carriera sono un traguardo importante. Quali sono stati gli avvenimenti che hanno segnato di più l’anima e la carriera degli Afterhours?
Domanda complessa. Dal 2008 al 2011 abbiamo girato in tour l’America, e questo ci è stato di grande stimolo. Un altro snodo importante è stato Sanremo: abbiamo sdoganato la nazional-popolarità di questo progetto e lo abbiamo spinto verso nuovi territori, a cui prima non era abituato. Questo ci ha dato molta visibilità all’epoca. Anche l’uscita di Padania e Folfiri e Folfox è stata importante, perché rappresenta il sound attuale della band e quello da cui vogliamo partire per i progetti che verranno.

Durante la preparazione della raccolta Foto di pura Gioia uscita per celebrare il trentennale della band, un incendio ha devastato la sala prove. Nel momento in cui eravate pronti a ripercorrere il vostro passato, ecco che vi viene strappato via, come a voler dire «Si va avanti, è ora di cambiare». Come avete vissuto questo avvenimento?
Certamente non l’abbiamo presa bene, ma siamo riusciti a salvare tutti gli strumenti. La sala prova è andata persa, ma da un po’ stavamo cercando di prenderne una nuova, tutta nostra, e questo ha sicuramente accelerato i tempi. Un episodio negativo difficilmente resta tale, si cerca sempre di coglierne qualcosa di buono. Questo avvenimento per noi è stato come una molla, ci ha spinto in avanti e noi risorgeremo dalle ceneri della band e andremo avanti.

Ad oggi siete un’istituzione del rock, non solo italiano, ma europeo. In passato, inoltre, avete duettato con Mina, un pilastro della musica del bel paese, prima con Tre volte dentro me e poi con Adesso è facile, brano scritto appositamente per lei. Questa collaborazione ha in qualche modo contribuito alla vostra notorietà?
Non sappiamo se possa aver contribuito. Il fatto che un’artista del calibro di Mina abbia cantano una propria versione di Dentro Marylin ha dato a tutta la band una grande consapevolezza dei loro mezzi. Mina ha scelto un brano del genere perché ci ha visto qualcosa che andava oltre gli stilemi del post-punk e dell’indie-rock, soprattutto nel livello di scrittura, e questo ha dato una grande fiducia alla band nello scrivere in italiano.

Restando su Mina; la sua carriera ha preso il volo grazie al piccolo schermo, di cui è stata per anni la regina indiscussa. Gli Afterhours, al contrario, hanno sempre ripudiato il mezzo televisivo e la diffusione mediatica, ma negli ultimi anni Manuel sembra essercisi ricavato un bel posticino. Perché questa scelta?
In realtà non si tratta di un bisogno, sono occasioni che quando capitano vanno colte. Gli Afterhours erano già comparsi altre volte in televisione, ma il personaggio di Manuel ha avuto grande popolarità grazie a X Factor. Ma sia chiaro, apparire in televisione ha anche lati negativi. Il fatto di essere così conosciuto ti rende sovraesposto, limita le tue libertà ed è qualcosa a cui ci si deve abituare poiché incide sulla quotidianità. Per quanto riguarda gli Afterhours, l’essere comparsi in televisione con Ossigeno (il programma targato Rai ndr.) non ci ha turbato più di tanto. È sicuramente una grande opportunità; bisogna capire come poterla cogliere per trarne il meglio e quanto in là ci si può spingere. Per ora il bilancio è molto positivo, dunque non escludiamo che questa avventura possa continuare. Poi si sa che più ci si sta dentro e più si ha voglia di fare.

Quanto e in che modo gli Afterhours hanno influenzato la scena indie rock italiana?
In molti hanno iniziato a suonare grazie agli Afterhours. Ma anche grazie ai Marlene Kuntz e prima ancora ai CCCP. Noi abbiamo hanno aperto un solco nuovo, una strada non ancora percorsa e la gente pian piano ha cominciato a fidarsi di questa nuova rotta. Ad oggi non sappiamo se siamo ancora in grado di influenzare gli artisti emergenti, sicuramente abbiamo fan sempre nuovi e sentiamo di poter dire che, nel nostro piccolo, siamo un’istituzione di questo genere musicale, almeno nel nostro Paese.

A proposito di artisti emergenti, chi potrebbero essere i prossimi protagonisti della nuova scena musicale italiana?
Non siamo dei talent scout, ma la curiosità c’è sempre stata. Giriamo per locali, andiamo ai concerti e ci interessiamo delle novità. Teniamo le antenne ben accese così da poter captare ogni segnale di originalità. Negli ultimi cinque anni, in Italia, non abbiamo trovato nulla che accendesse la nostra fantasia, soprattutto in termini di innovazione. Di qualità ce n’è tanta, ma è derivativa, non c’è niente di nuovo. C’è bisogno di qualcosa che lasci il segno, come è successo dieci anni fa con Vasco Brondi, un artista e un amico che stimiamo molto. Un altro artista che ci piace molto è Ghemon, ma anche lui ha già molti anni di carriera. Di diciottenni in trasmissione ne abbiamo avuti un po’, come ad esempio i Måneskin, ed è stato entusiasmante fino a che eravamo dentro ad un programma televisivo. Ora bisogna vedere la strada che faranno e come si sapranno destreggiare nel mercato della musica italiana. Li aspettiamo al varco.

Oltretutto c’è stata una diminuzione drastica dei chitarristi all’interno delle nuove band. Anche voi l’avete notato?
Sì, è vero. Questo è stato il periodo dei synth: è tornata di moda la musica elettronica, che è anche più facile da suonare, soprattutto nelle tournée. Fare un set live con i synth e un pc è sicuramente più facile del dover caricare tutti gli strumenti sui furgoni. Poi una band per spaccare dal vivo ha bisogno di una grande sintonia, e questo manca a parecchi gruppi, che poi ovviamente ripiegano sull’elettronica per trasmettere quella carica in più. Ci sono cantanti rap che ci stimolano, poi vai a vedere le performance dal vivo e sono molto riduttive. Uno che ci sa fare è Salmo: ha una grande cura dello spettacolo e sul palco la differenza si vede e si sente. Comunque, ultimamente stanno tornando di moda gli anni novanta, e siamo più che sicuri che le chitarre verranno presto reinserite anche nelle canzoni pop.

Abbiamo parlato dei trent’anni di carriera, ma per quanto riguarda il futuro cosa ci aspetta?
Il concerto di aprile è stato voluto per celebrare la fine di un ciclo, coronare questo periodo e mettere un punto da cui poter ripartire. Ora si torna a vivere e dalle nostre vite prenderemo gli stimoli necessari per scrivere qualcosa di nuovo. Ci daremo sicuramente un po’ di tempo, una piccola pausa per riordinare le idee e capire come poter andare avanti.