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A Perfect Circle, non chiamateli Tool

Non ci è riuscito nemmeno un Palalottomatica per buona parte vuoto a rovinare la festa romana degli A Perfect Circle. D’altronde, quando la musica viene suonata come si deve non è necessario avere di fronte una folla oceanica pronta a mascherare ogni singola imperfezione. Certo, la scelta di approdare nel giro di due giorni nei due palazzetti più grandi del Paese (martedì la band ha suonato al Mediolanum Forum di Milano) è stata un po’ azzardata ma stiamo pur sempre parlando di una città che ad oggi non offre soluzioni migliori per la musica live.

Il supergruppo di Maynard James Keenan si presenta con la formazione (quasi) al completo. C’è l’amico e fondatore Billy Howerdel alla chitarra (unico membro originale della band insieme a Keenan) e Matt McJunkins degli Eagles of Death Metal al basso. A completare la formazione Greg Edwards dei Faulure, chiamato a sostituire James Iha, attualmente in tour con gli Smashing Pumpkins.

Avvolti in una scenografia a dir poco spettacolare – con un palco completamente in penombra sormontato da schermi sui quali per tutto il concerto si susseguono visual – gli A Perfect Circle ci mettono il cuore. E nonostante quella di Roma sia l’ultima data del mega tour mondiale iniziato a metà aprile dagli Stati Uniti, la band americana non si risparmia neanche per un secondo: diciotto brani in scaletta sparati in faccia da Keenan – aiutato da Howerdel – come una fucilata.

Assolutamente vietato fare foto e video: il divieto è posto all’entrata, lo ripete una vocina registrata nel pre-concerto e lo ribadisce il roadie pochi istanti prima dell’inizio dello show. «Innanzitutto, niente di ciò che ti dà uno spettacolo rappresenterà quello che hai visto, o quello per cui ci sei stato. Come cartolina credo funzioni. Ma vivi il presente. Sei in un posto con delle persone per una cosa. Questo è molto più importante. Inoltre, come cortesia, forse la persona dietro di te vorrebbe godersela e ora la tua merda li disturba», aveva dichiarato Keenan prima dell’inizio del tour. E i fan sembrano aver accettato questa policy anti-contemporanea.

Tutto lo show gira intorno a Eat The Elephant (e non poteva essere diversamente) senza però distaccarsi completamente dal passato. Gli A Perfect Circle portano sul palco tutto il meglio che hanno offerto negli ultimi dodici anni (The Hollow e The Package su tutte). Non fraintendetemi, l’ultimo lavoro in studio degli A Perfect Circle è probabilmente il loro album migliore, ma è evidente che il pubblico è lì per ascoltare le canzoni storiche. Lo si capisce dai boati che riempiono il palazzetto e precedono Weak and Powerless e Judith. Poi ancora Rose, Blue, Talk Talk. Ci si è potuti permettere a metà live anche un inno tratto dalla discografia dei Depeche Mode di Dave Gahan, People Are People.

La sensazione fin dall’inizio dello show è che gli A Perfect Circle non intendono essere un’alternativa ai Tool di Keenan: cambiano le sonorità e cambia l’approccio con il pubblico. Insomma, la band di Los Angeles fa di tutto per allontanare i paragoni con il gruppo simbolo del progressive metal americano (e ci riesce al cento per cento). Il risultato finale è un concerto per palati sopraffini. Ed è evidente che a loro va bene così.