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È difficile essere Mike Shinoda

Mike Shinoda ha scelto saggiamente di non giocare a fare i Linkin Park. E lo dimostra con uno show in cui l’attenzione è posta tutta su di lui e su Post Traumatic. Ed è proprio per promuovere la sua ultima fatica discografica che Mike si è presentato al Fabrique di Milano per un concerto sold out da mesi. Ad attenderlo un esercito di cinquemila ragazzi ma d’altronde è risaputo che la fan base dei Linkin Park in Italia è molto solida, e l’ha ricordato anche Mike dal palco tenendo in bella vista per tutto il concerto la ormai notissima bandiera italiana con le firme dei suoi fan.

Shinoda si presenta sul palco con una felpa gialla della Champion e anche se oggi rappresenta il good guy dell’hip hop, quando inizia a rappare non ce n’è per nessuno. La prima in scaletta è Petrified. You ready? Let’s go. Oltre a lui c’è un batterista e un percussionista elettronico. Ad uso e consumo di Mike una console che comprende tastiera, mixer ed una batteria elettronica. Ed ovviamente una Fender Stratocaster che, a fasi alterne durante il concerto, suona magnificamente.

Le parti rap lasciano anche spazio ai brani più pop rock come Prove You Wrong dal suo ultimo disco, durante il quale viene messa in atto una fan action utilizzando dei cartelli alzati dal pubblico con scritto We have faith in your path: “Cerco un ritmo con cui stare al passo/Sto solo provando a respirare, lasciami prendere fiato/Sì, lo so, non possiamo andare tutti dove sto andando io/Voglio solo che crediate nel percorso che ho scelto”.

Mike Shinoda a Padova, foto di Denis Ulliana

Il pubblico del Fabrique decide che è ora di ascoltare Watching As I Fall.  Probabilmente un altro qualsiasi artista se ne sarebbe infischiato ed avrebbe seguito la scaletta. Invece no. «La devo suonare ora? Ok», dice. Inevitabile arriva anche il momento catartico. «Ho fatto tantissima pratica in questi due anni su come essere flessibile. Vi voglio ringraziare, mi avete aiutato a dare un senso a tutto e continuare». E chiaramente è giunta la parte del live dedicata a Chester Bennington.

C’è da ammetterlo, non è facile essere oggi Mike Shinoda. Salire su un palco con il peso sulle spalle di una band che ha scritto la storia di un genere e di una generazione. «Siamo venuti a suonare in Italia, fin dagli inizi con i Linkin Park nel duemila. Non saprei dire quale data ricordo meglio. Voi italiani non state mai in silenzio. La vostra energia è sempre al massimo, quindi nella prossima canzone sapete già cosa fare: cantate forte per Chester, lui canta con noi questa sera». Ed il pubblico, senza che nessuno si fosse messo d’accordo, canta tutte le parti di Chester in In The End e Numb. L’emozione e la voglia di non far svanire il ricordo è lì.

È chiaro che lo show non vuole essere una celebrazione del suo passato bensì un nuovo punto di partenza. Certo, non è facile trovare una strada lontano da una band come i Linkin Park, con la potenza e la forza innovativa che ha portato. Probabilmente Mike sta ancora cercando la sua. Le sue abilità, quelle che lo fanno stare a suo agio sia nel mondo rap che in quello pop, sicuramente sono un’ottima base che non necessariamente deve prevedere una scelta fra le due.

Foto di Denis Ulliana

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