Dopo la sbornia sanremese, placati gli animi e messe a tacere le polemiche (perché ci sono state e anche tante), Ultimo si prepara a pubblicare il suo terzo disco d’inediti (clicca qui per ascoltarlo). È un giovedì pomeriggio e Niccolò ci invita per parlare della sua ultima fatica in studio in un appartamento nel cuore di Milano, quasi a sottolineare la sua voglia di normalità e di contatto diretto con le persone. La nostra intervista inizia dalla fine, dal concerto evento che terrà allo stadio della sua città, Roma: «Quando canti nella tua città già senti l’emozione raddoppiata», esordisce. «Non sono mai riuscito neanche a sognare di cantare in quello stadio. Sarebbe stato guardare troppo lontano. Già ora, che non è vicino il concerto, è qualcosa di strepitoso. Spero di reggere l’emozione».
Verrebbe da dire che è un chiaro segno di successo, anche se per Ultimo il rapporto col successo non è semplice: «Ogni lavoro ha pro e contro. Comunque, a volte mi sembra di aver bruciato le tappe e che la situazione mi sfugga di mano, lo sento. Non è sempre facile. Mi sembra di non avere mani abbastanza grandi per controllare quello che ho intorno. Ma alla fine forse è meglio avere meno consapevolezze». E la consapevolezza è proprio il tema centrale del nuovo disco in cui, diversamente dai precedenti lavori, Niccolò sembra preso un po’ male. Quasi come ci fosse un senso di tristezza di fondo: «Partiamo dal principio: l’arte in generale è interpretazione personale. Secondo me questo è un disco con più possibilità di scelta. Ci sono brani allegri come Aperitivo grezzo alternati a pezzi lenti e malinconici. C’è di tutto. Certo, mi è più facile scrivere un pezzo lento. Però un disco solo con questo tipo di brani sarebbe troppo pesante».
A proposito di Aperitivo grezzo, è il pezzo forse più radiofonico dell’intero disco (“Vorrei svegliarmi presto la mattina/E ritrovare tutto com’era prima/Invece adesso sai mi sveglio e mi sento incostante”, canta): «Sicuramente sarebbe un buon singolo estivo, anche se io non sono da singolo estivo», mi dice. «Però quello in effetti potrebbe essere il pezzo adatto. Ha un ritmo reggae, la sensazione che ti dà è di qualcosa di spensierato. Per il mio futuro spero di poter mantenere quello che ho conquistato. È una bella aspettativa, no?». E anche se Ultimo è un artista riservato, quando si racconta è un diario aperto. Continua parlando del suo passato: «Se tornassi indietro cambierei tante cose. In effetti potevo evitare di fare tante cose. Cercherei di essere meno bastian contrario, di oppormi meno alle cose per fare il finto ribelle». Ed ora che è un giovane adulto crede fermamente nell’onestà e nell’essere fedeli a se stessi: «Io ne faccio un discorso di coerenza. Io non riesco a parlare di cose che non voglio. L’immagine di un artista per me non deve essere bella ma deve essere coerente».
Inevitabile toccare l’argomento Mahmood: «Non ci siamo sentiti». «Capisco sia un argomento interessante. Io non ho nulla contro di lui. In certi contesti si vanno a creare situazioni sbagliate che fanno travisare le parole. Comunque lui è pieno di sogni come me e gli auguro di realizzarli». Mentre parliamo non posso non notare la felpa di Kurt Cobain che indossa: «Per un lungo periodo, verso i sedici anni, tutti i giorni ascoltavo Something In The Way (ultima traccia di Nevermind ndr.). Un brano che arriva a descrivere meravigliosamente la disperazione. Ho un suo tatuaggio. Kurt è stata una fase importante per me. Ora invece ascolto più il cantautorato italiano: Vasco Rossi, Francesco De Gregori, Renato Zero, Claudio Baglioni. Ho un ottimo rapporto con Venditti. Antonello mi sta insegnando molto. Lo chiamo ed è sempre disponibile, mi dà dei buoni consigli, ma non da predicatore. Anche Calcutta mi piace molto».
Sui social e gli haters: «In questa era tutti si svegliano e pensano di poter dire la propria opinione. Ma bisogna avere le competenze per esprimerla. Ci sono dei percorsi da fare per sapere le cose. Alcuni rapper mi hanno fatto dei dissing. Che vivano come gli pare. Io uso i social poco e lo faccio per condividere momenti felici». Poi ci sono gli artisti affaristi (come li definisce): «Quando ho scritto quel verso sì, ho pensato a qualcuno. Ho la sensazione che spesso si pensi più al contorno che al centro. Sai, il fatto di fare le foto ed avere gli sponsor a me viene difficile. Non ci posso fare niente».