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Alla domanda: «Perché il rock vince sempre anche quando non si sentivano più chitarre distorte in radio?», Serge Pizzorno risponde: «Tutto ciò che è onesto trova il giusto posto nel mondo, poco importa cosa stia trasmettendo la radio in quel momento». Dopo un lungo periodo in tour con i Kasabian che ha seguito la pubblicazione dell’ambizioso For Crying Out Loud (2017), Serge Pizzorno si è semi-recluso nel suo studio di Leicester, nelle East Midlands, dove ha fondato il progetto The S.L.P. (acronimo di Sergio Lorenzo Pizzorno, il suo nome di battesimo) e ha inciso undici tracce inedite che spaziano dall’hip-hop al funk psychedelico: «Ho iniziato persino a imparare gli accordi jazz, Marvin Gaye e Stevie Wonder per intenderci», dice. «È così importante riscoprire l’innocenza della sperimentazione, quando una piccola parte di te si chiede: posso ancora farcela?».

Quando lo chiamo al telefono, Serge è appena atterrato a Milano dove ha in programma un tour promozionale. Parliamo di Genova, del suo tour europeo, di Ed Sheeran, che qualche anno fa definì il rappresentante dell’Inghilterra media ma soprattutto parliamo del suo primo disco solita che ha registrato senza porsi limiti. L’idea iniziale era di fare un disco krautrock (Ash Ra Tempel e Popol Vuh per intenderci) «ma quello che ho scoperto è che stavo ascoltando molto Tyler The Creator e Mac Miller. Ero in quel mondo», mi racconta. Così si è sbarazzato di tutti i synth e delle chitarre tenendo in studio solo telefonini e laptop. Il risultato? Un disco imprevedibile per chiunque, persino per lo stesso Pizzorno che per la prima volta si è trovato a lavorare senza pressioni ed esigenze discografiche: «Non pensavo necessariamente: “Ho bisogno di un singolo”, il che è stato liberatorio».

Liberatorio in che senso?
Premetto che anche i Kasabian sono sempre stati un gruppo sperimentale, quindi non si tratta di qualcosa che esce fuori dal nulla. Questo album è nato perché ci siamo presi un anno di pausa e mi sono chiesto: cosa posso farne di questo tempo? Mi piace lavorare, creare, e allora ho pensato di fare questo disco senza pormi limiti, facendo ciò che mi ispirava di giorno in giorno.

In quale brano ti sei divertito di più a sperimentare?
Credo che Trance sia una canzone costruita meravigliosamente bene e posso dire di esserne orgoglioso. Penso sia proprio un bel pezzo, sì (nel brano c’è una specie di raffinatezza francese, è piuttosto rilassata, ma ha anche un finale potente, euforico e trionfale ndr.). Non vuole essere un inno, non doveva proprio esserlo ma, in qualche modo, sono arrivato alla fine e ho pensato: è potente.

Che mi dici invece dei featuring?
Volevo dei giovani artisti inglesi che fossero pronti a spaccare di brutto, beautiful kids!

Che musica hai ascoltato durante il periodo di produzione del disco?
Ho ascoltato tanta roba nuova, ma anche XXXTentacion, Madlib e Marvin Gaye, per dirne alcuni. Questo perché registrare un album solista è stata un’esperienza davvero profonda per me e la musica soul era quello che ci voleva.

Dopo tutti questi anni di carriera sei ancora pieno di idee. La cosa ti sorprende?
Mi sento davvero fortunato di poter fare musica ogni giorno e gli spettacoli che abbiamo portato in giro in tutti questi anni mi hanno regalato dei momenti indimenticabili. Ogni giorno è una benedizione.

Matt Bellamy dei Muse ha affermato che l’era social è solamente una noiosa fase di passaggio. Favourites affronta proprio questa tematica.
I social hanno molte qualità in comune con la droga e l’alcool, tra cui la stessa capacità di seduzione. Il bisogno di successo e di like crea una specie di ossessione. Credo che, come nel caso delle droghe dopotutto, non ci sia nulla di male nell’utilizzarne con moderazione, ma se ne fa un uso eccessivo e se ne perde il controllo, allora questo si trasforma in qualcosa di nocivo.

Che cosa racconti in Meanwhile… in Genova?
Per me è come una lettera d’amore all’Italia e alle mie radici. Nella mia mente è la sequenza iniziale del mio film. Tutti quanti ci facciamo i film, no? Beh, il mio inizia a Genova, nell’area del porto.

A proposito di Genova, sei per metà italiano: qual è la cosa più italiana del tuo carattere?
Il mio stile, ovvio (ride ndr.).

E la cosa più inglese?
Decisamente il senso dell’umorismo.

Il ritorno del rock nella musica mainstream ha dato prova che il tuo approccio sia stato vincente, anche quando non si sentivano più chitarre distorte in radio. Secondo te perché il rock sopravvive sempre?
Le persone sanno riconoscere ciò che è vero da ciò che è finto. Tutto ciò che è onesto trova il giusto posto nel mondo, poco importa cosa stia trasmettendo la radio in quel momento. Se qualcosa è fatto con integrità e autenticità, allora prima o poi troverà il modo di connettersi con la gente. Il rock sopravvivrà sempre.

Tom Morello ha recentemente affermato che l’attuale politica occidentale genera grande musica. Secondo te il rock può ancora fare politica?
Assolutamente sì, anche se tutto dipende da che definizione dai alla politica. Noi tutti dobbiamo contribuire individualmente per rendere il mondo un posto migliore, a partire dal nostro quartiere e dalla nostra comunità. Abbiamo tutti il dovere di aiutarci l’un l’altro. La musica riesce a unire le persone e questo è uno dei suoi più grandi punti di forza. Quando siamo insieme riusciamo a capire meglio cosa possiamo cambiare, e questo è fondamentale.

Qualche anno fa hai affermato che Ed Sheeran è il rappresentante dell’Inghilterra media e che il suo successo ti spaventava. Pensi ancora questo di lui?
Innanzitutto, non è colpa sua (ride ndr.). Da artista ad artista: lui fa la sua musica e io rispetto chiunque faccia arte, ad ogni livello. Credo solo che ci sia il bisogno di sentire più di una voce. Quando qualcuno domina un mercato è tutto molto facile: un cantante va forte, la sua musica risuona ovunque e costantemente, diventa familiare e le radio decidono di continuare con questa familiarità. Avremmo in realtà bisogno di diffondere nuovi pezzi e di dare un’opportunità alle nuove generazioni di farsi strada, cosa che non accade quando il mercato è monopolizzato. In ogni caso Sheeran lo vedo di buon occhio. Fa il suo lavoro ed è un bravo ragazzo.

Tom e gli altri ragazzi cosa ne pensano del tuo disco solista?
Ne sono molto felici. Ogni tanto si ha il bisogno di spezzare la routine, di fare tutto a pezzi per ricostruirlo e renderlo più solido di prima. Su questo siamo tutti d’accordo. Da quando ho scritto il mio nuovo album i Kasabian sono più forti che mai.

A breve tornerai sul palco, in scaletta ci saranno anche pezzi dei Kasabian?
No, no. Dopotutto i Kasabian torneranno a suonare l’anno prossimo. Quindi…

Traduzione a cura di Claudia Assanti, Giulia Guerra e Giorgia Tomassini.