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Cesare Cremonini: «Le logiche discografiche non mi interessano»

Mentre guido nell’hinterland milanese, direzione corso Matteotti, la radio passa Marmellata #25. È sorprendente il tempismo di certi eventi – penso tra me e me – perché da lì a poco incontrerò Cremonini e mentre lui si appresta a pubblicare sei nuovi inediti (SPOILER: diventeranno tutti dei singoli), le radio devono ancora finire di digerire i suoi pezzi di quindici anni fa. Ma d’altronde questo è il potere che nasconde la penna di Cesare: le sue canzoni sembrano scritte per non invecchiare mai. «Non ho mai voluto essere solo un cantante ma anche un musicista – dice – Ho attraversato due decenni, tutto è cambiato. La mia attenzione in questo tempo è stata dedicata a costruirmi un repertorio, ad avere una prospettiva ed è grazie a questo se oggi posso mostrarmi come artista e come uomo. Prendi un brano come Al telefono: può essere letto solo se legato alle altre canzoni che l’hanno preceduto. Avrei potuto velocizzare il mio percorso artistico ma non l’ho fatto, per il momento non ho nessun bisogno di giocare con la musica per necessità discografiche».

Una carriera, quella di Cremonini, fatta di determinazione ma anche di studio: «La mia è una storia da raccontare a chi inizia oggi a fare musica. Il mio obiettivo primario è sempre stato quello di scrivere le canzoni. Non le faccio solo per poi portarle live, non ne sarei capace. Poi il live rimane una parte importante, molte versioni dal vivo infatti sono state inserite nel best of», continua. Se Al telefono – singolo che ha preceduto l’uscita del cofanetto – sembrava la fisiologica prosecuzione di Possibili scenari, in cui c’era sì dell’elettronica ma in cui erano gli arrangiamenti orchestrali a farla da padrone, negli altri quattro brani più uno (dico così perché How Dare You è un pezzo strumentale) c’è anche molto altro. Insomma, Cremonini fa di nuovo centro con una piccola perla in sei puntate: «Non sono esattamente canzonette con ritornelli facili da fischiettare. Ho studiato musica classica e nella musica classica, che penso sia di una modernità disarmante, la cosa importante è la lettura musicale. La fischiettabilità di una canzone è un limite mentre occorre toccare la sensibilità delle persone. Non mi interessa essere breve e oggi dopo vent’anni posso permettermi questo lusso».

I testi degli inediti contengono molte domande, quasi come se Cesare fosse in una fase di malinconica introspezione: «Il pubblico che mi ascolta è la mia seduta di psicanalisi preferita», racconta. «Sono in una fase in cui i miei ricordi iniziano ad offuscarsi. Ho avuto una vita articolata e quando mio padre è morto mi sono gradualmente allontanato dai miei obiettivi, mi sono distratto da me stesso. Da quando sono tornato sulla barca non vedevo più la riva; mi sono perso nella vita e credo che questo sia un buon momento per scrivere nuova musica». Tra gli inediti c’è anche un brano dedicato a Martina, la sua ragazza; si intitola Giovane stupida e nel ritornello Cesare canta “Le relazioni elettroniche/Il battito nel cuore dell’etere/E vai vedere che è semplice/Innamorarsi di te: che sei più giovane”. «L’amore è tornato ad essere uno specchio importante per decifrare la realtà. Lo subisco e soffro per uno scontro generazionale, però capisco attraverso lei la sensibilità dei giovani d’oggi: la frase del brano che recita “Ma come chi è Mick Jagger?!” apre un mondo. Io comunque non ho mai cambiato il modo di raccontare l’amore, ma è l’amore che è cambiato. Io voglio scrivere canzoni che siano dei quadri».

A proposito del rapporto con la musica di oggi, Cremonini ha le idee chiare: «La studio e la osservo e cerco di prenderne il buono. Ma io sono fedele a me stesso, alla mia età, alla cultura musicale da cui vengo; non sono mai sceso a compromessi e non ho ceduto alle tentazioni. Ieri ad esempio ho ascoltato Tha Supreme, lo trovo divertente. In lui sento la stessa energia, fame e voglia che avevo io». Ma quanto vale un artista davvero in termini di vendite? «L’appuntamento più importante col pubblico un tempo era il disco e lì l’artista si posizionava, era fondamentale – risponde – Nella mia carriera c’è sempre stato il disco e la conseguenza del disco, cioè il tour mentre oggi il momento in cui il pubblico conosce l’artista è diventato il live. Ma non è un male». E lo streaming? «È solo di passaggio. La discografia è stata molto ossequiosa verso questi nuovi supporti».

Negli ultimi due anni, prima con Possibili scenari, poi con un tour che ha toccato i tre stadi più importanti d’Italia, le sue ambizioni e la sua credibilità sono molto salite e in questo momento non deve essere facile per lui alzare l’asticella: «Io sono della generazione anni novanta che si è trovata tra i grandissimi degli anni ottanta e gli anni duemila, partiti a raffica con lo streaming. Sono in mezzo e tengo faticosamente le due epoche insieme. Cerco di capire ed imparare cosa sta accadendo. Io vorrei solo scrivere una pagina della musica italiana ma c’è ancora tanto da imparare. Per il momento posso dirti che ho rinunciato al tour nei palasport nel 2020. Come posso offrire al pubblico qualcosa di nuovo e diverso?». In estate torneranno però i grandi palchi, con una tournée che lo vedrà esibirsi in sette stadi (la prima data è in programma per il 21 giugno a Lignano Sabbiadoro, poi Milano, Padova, Torino, Firenze, Roma e Bari) e – per la prima volta nella sua carriera – all’Autodromo di Imola il 18 luglio: «In tour vedrete un bilancio umano: quello di un uomo smarrito ed entusiasta di non avere più catene. È nello smarrimento che si trova l’energia migliore per trovare nuove strade. Nasceranno belle canzoni da questo, ne sono sicuro».

Poi c’è il rapporto con le cover dei sui pezzi: «Quando qualcuno canta in televisione o su un palco una mia canzone sono sempre molto onorato. Però non sono un cantante da scuola di canto, sono un cantautore che ha scoperto una sua voce che combacia perfettamente con quello che scrive. Quando sento i miei pezzi eseguiti nei talent cambio canale. D’altronde è anche il motivo per cui non scrivo su richiesta, se me lo chiedessero dovrei rispondere: “Mi dai un anno?”. Non riesco a scrivere a gettone». E su un futuro nel mondo del cinema dice: «Mi cercano ma trovano occupato, anche se mi piace offrire altri lati della mia personalità. Certo, quando ho firmato a suo tempo il contratto con Rita Rusić per Un amore perfetto avevo vent’anni, i capelli rossi e avevo appena vinto il Festivalbar (ride ndr.). Ho preso casa con quel contratto. Per firmare le chiesi: “Vorrei avere con me il mio miglior amico, per tutto il tempo delle riprese”. Me lo concessero e restò per tre mesi in hotel con me. Ci siamo divertiti molto in quel periodo. Poi con Bagus sono tornato con i piedi per terra». Ma cosa provi quando canti le vecchie canzoni, quelle scritte a vent’anni? «Non provo alcun tipo di imbarazzo. Tutte le mie canzoni stanno bene nel live cantate da un quarantenne». E i Lùnapop? «Non ci sarà nessuna reunion, sarebbe come tornare indietro».