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Ghemon non ha paura di sbagliare un buzzer beater

Per spiegarmi il rischio che ha corso pubblicando il nuovo album nel bel mezzo del lockdown e contro ogni logica discografica, Ghemon utilizza la metafora del cestista. «Sono pronto a ricevere il pallone per l’ultimo tiro anche a costo di sbagliarlo, sempre. Poi posso segnarlo o sbagliarlo, ma sono l’uomo degli ultimi secondi». Con Scritto nelle stelle Ghemon non solo ha segnato il suo buzzer beater (nel primo weekend il disco ha totalizzato oltre un milione di streams su Spotify), ma ha anche capito che non può sempre calcolare tutto: «Il momento che stiamo vivendo è andato oltre qualsiasi calcolo che io avessi fatto prima che il disco uscisse».

In un pezzo del tuo nuovo album canti: “È un momento pieno zeppo di giornate incompiute/E di pessime battute su WhatsApp”. Insomma, un verso che, anche se scritto in tempi non sospetti, riassume alla perfezione le nostre vite da due mesi a questa parte. Come lo stai vivendo questo lockdown?
Lo sto vivendo cercando di fare esattamente il contrario di quello che scrivo nella canzone, ossia cercando di rendere le giornate compiute riempiendole con più attività che posso. Mi sono inventato la qualunque, dal fare allenamento in soggiorno al mettermi tutte le magliette che ho nei cassetti. Così ho pure la scusa di fare la lavatrice.

E la tua scrittura è in qualche modo influenzata dagli eventi del momento?
La musica deve far riflettere, ma in questo caso preferirei che alleggerisse, che fosse celebrazione di unità piuttosto che di solitudine.

Ad un certo punto del nuovo album dici: “E ho la certezza che questo mio destino sia stato come scritto nelle stelle”. Credi più nel destino o nel lavoro duro per arrivare ad un obiettivo?
Io credo principalmente nelle scelte anche se in questo periodo, per esempio, siamo stati costretti a far scegliere per noi. Si può anche credere in un disegno più grande che va al di sopra delle nostre scelte, però penso che in parte il destino sia determiniamo da noi e non credo che stando con il culo sul divano le cose possano cambiare molto.

Questa emergenza ha amplificato il nostro istinto di sopravvivenza che ci ha spinto ad adattarci ad una situazione che mai avremmo pensato di vivere nella vita. Come è stato promuovere un disco così importante per te in maniera totalmente virtuale?
È un mondo nuovo, quindi bisogna riadattarci senza fare troppo gli schizzinosi. L’ho fatto con piacere ed è stato tale e al di là del fatto che possa sembrare surreale, in realtà ci si riadatta velocemente a queste situazioni.

Comunque il disco mi sembra stia andando bene, nel primo weekend hai totalizzato oltre un milione di streams. La scelta di uscire ora con un nuovo album è stata coraggiosa ma allo stesso tempo anche rischiosa, non credi?
Come dicevo prima, io sono uno che sceglie sempre. Me li prendo i miei rischi, sono pronto a ricevere il pallone per l’ultimo tiro anche a costo di sbagliarlo, sempre. Poi posso segnarlo o sbagliarlo, ma sono l’uomo degli ultimi secondi. Quella di uscire in questo periodo con un disco è stata una scelta molto rischiosa, ma i rischi mi hanno sempre pagato.

E la totale assenza di featuring nel disco, è stata una scelta precisa di stile?
A questo giro avevo delle cose molto personali da dire. Io sono d’accordo nel fare i featuring quando c’è la possibilità di sedersi insieme a scrivere. In questo caso non potevo chiedere agli altri di cantare per conto mio. E poi in questo senso vado controcorrente: in un momento in cui sono ampiamente sdoganati, in ogni disco ce ne sono cinque o sei, ho cercato di distinguermi.

L’ultima volta che ti abbiamo intervistato ci dicesti che nella trap trovavi novità ma non innovazione, sei ancora della stessa idea?
Ora non trovo più neanche novità, ho capito il giochino e sono rari i casi in cui mi stupisco. In questo momento sono più interessato all’urban, questa scena ancora molto di nicchia in Italia che si muove in un sacco di territori a cavallo tra rap, trap e R&B.

Inguaribile romantico è una dichiarazione d’amore per la tua compagna. Molti pensano che questo periodo che stiamo vivendo sia un banco di prova per i rapporti, tu cosa ne pensi?
Probabilmente ci saranno un sacco di coppie che ne usciranno rotte ed altre molto più rafforzate; capisci se questo periodo lo si è superato insieme oppure se lo si è superato separatamente. È stato un bel banco di prova per qualunque relazione: a distanza, convivenze, fidanzamenti consumati facendo sesso al telefono.

Nel brano In un certo qual modo canti: “Uso il cervello perché sono diverso dalla massa/Ma ho imparato che alle volte devo agire di pancia”. Di quali momenti parli?
Qui c’è un doppio gioco tra “massa” intesa come gente e “massa” intesa come cerebrale, quindi il rapporto fra cervello e pancia. Io sono uno molto ragionativo e riflessivo, ce l’ho proprio nel DNA. Ma a volte bisogna buttarsi. Ho imparato che non posso sempre calcolare tutto. Il momento che stiamo vivendo, per esempio, è andato oltre qualsiasi calcolo che io avessi fatto prima che il disco uscisse, non lo avrei neanche mai immaginato. La vita a volte ti sorprende, ed è giusto così. Va bene quindi fare anche scelte di pancia senza pensare a chi potrebbe offendersi, ma semplicemente essendo sé stessi.

Nel videoclip del brano interpreti un terapeuta di coppia che alla fine riesce a sciogliere i nodi irrisolti delle coppie che ha in cura. Credi nella terapia?
Dovrebbe essere uno strumento utilizzato da tutti, soprattutto in questo momento in cui le ripercussioni della clausura iniziano a farsi sentire. Dopo due mesi in casa molti avranno paura di uscire e non sapranno neanche perché. Come diceva Caparezza, abbiamo arredato il nostro tunnel. Io credo nella psicoterapia e non solo per risolvere problemi ma anche per sciogliere dei nodi, per evolversi e diventare persone migliori.

Che rapporto hai con il tuo percorso artistico?
Per rifarmi al titolo del disco, ora l’ho abbracciato e in qualche modo ne sono fiero. Non che prima non lo fossi, ma semplicemente mi chiedevo se il percorso di tutti fosse così tanto lungo e tortuoso. Io sono andato piano, costruendo una cosa alla volta, giorno per giorno e oggi questa è la mia caratteristica principale.

E il Festival di Sanremo, quanto è stato importante?
È stata una gran bella platea, un momento di passaggio che mi ha dato la riprova che potevo parlare con molte più persone restando me stesso. Se ci fossi andato snaturandomi non credo avrei avuto le stesse sensazioni, mentre per me è stato proprio un episodio fortunato. Ci sono andato con una formula che era solo mia e che avevo costruito con lentezza e non poca fatica così da risultare interessante anche per chi non mi conosceva dagli inizi e non aveva seguito tutta la mia evoluzione.

Tra le grandi discussioni di questi giorni c’è la musica live, come lo vedi il futuro dei concerti?
Quella che stiamo vivendo è solo una fase di interregno finché le cose non potranno ritornare più o meno a come erano prima. Questa fase si supererà: finiscono le guerre, le epidemie, le pandemie, le crisi economiche e si riparte da capo. Certo, bisogna superare questo momento di intermezzo che è il più difficile, dove c’è bisogno di più aiuto, di unità, pensando a tutte le componenti come i tecnici. La cosa si sta evolvendo ogni giorno e come ogni giorno sentiamo in televisione che c’è un nuovo farmaco e bisogna capire se funzionerà allo stesso modo ci si ingegna per trovare soluzioni nuove per la musica. Prima ci sono state le dirette, poi gli show in multicast, poi sono stati proposti i concerti nei drive-in. Tutti i giorni verrà sperimentato qualcosa di nuovo finché non ci saranno tre o quattro soluzioni che funzioneranno. In fondo abbiamo un grosso spirito di adattamento e siamo, ed uso un temine che non sopporto, resilienti sul serio.