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I Casino Royale avevano previsto tutto questo

Ho incontrato per la prima volta Alioscia Bisceglia dei Casino Royale circa dieci anni fa a Milano nella radio dove lui lavorava e io ero solo un’assistente, chiaramente il mio ricordo è più nitido del suo che negli anni ha avuto a che fare con diverse persone e artisti; ma quando l’altro giorno ci siamo sentiti al telefono per l’intervista, che è stata una bellissima chiacchierata e non un passivo rispondere a delle domande, entrambi non abbiamo potuto fare a meno di notare che alla fine tutto è connesso, il cerchio si chiude sempre. Lo scorso 10 giugno i Casino Royale insieme al regista Pepsy Romanoff hanno presentato, per la mostra Remember ri’kɔ̹: dɚ’, Quarantine Scenario, un lungometraggio sperimentale (prodotto da Except e Maurizio Vassallo, direttore della fotografia Emanuele Cerri), un’opera collettiva, una raccolta di istantanee sonore nata dalla condivisione del brano Scenario che anticipa il nuovo progetto di Casino Royale, Polaris in uscita il prossimo autunno.

«Al Cluster abbiamo presentato un’anteprima – mi spiega Alioscia – mi ero impegnato con Giacomo Guidi (curatore Contemporary Cluster, ndr.) per dare un contributo alla sua mostra, dovevo fare una sonorizzazione, quando ho iniziato a lavorare su questo progetto ho pensato che poteva rimanere come una testimonianza, il tema era Remember ri’kɔ̹: dɚ’ e quindi era l’unione perfetta». Nel periodo di isolamento l’esigenza di contatto e confronto ha portato il gruppo a far girare questa traccia eterea e sospesa incentrata su un messaggio canalizzato; il risultato è di una colonna sonora di un film senza immagini, un audiolibro senza testo. A costruire la narrazione visiva ci ha pensato il regista Pepsy Romanoff (Salmo, Vasco Rossi ndr.) che dopo l’ascolto in isolamento, ha messo mano al suo archivio d’immagini raccolte negli anni in diversi continenti e seguendo il flusso sonoro ha creato un racconto fluido, onirico e visionario.

Dopo uno scambio di battute iniziale chiedo ad Alioscia la più banale delle domande, lui ride e scherzando mi dice: «Vuoi sapere perché ci chiamiamo Casino Royale?». Ok, il ghiaccio è rotto e quindi non posso non iniziare chiedendo quale sia stata la genesi del progetto. «Sono rimasto da solo 41 giorni, perché mia moglie e la bambina erano rimaste bloccate in Toscana. Con i Casino Royale abbiamo terminato pochi giorni fa un nuovo lavoro, Scenario è la traccia iniziale; non si parla di singolo poiché non è un brano radiofonico e non è neanche una canzone, fondamentalmente è un messaggio. In quei giorni di solitudine, in quanto persona abbastanza empatica con gli accadimenti, dopo la prima settimana sono stato un po’ travolto lottando un po’ tra lo stato emotivo, la logica e di conseguenza il passaggio tra essere positivi, realisti, perplessi, preoccupati e poi il panico mi ha fatto entrare in un loop».

«Ad un certo punto ho pensato a Scenario, che per assurdo ho scritto qualche tempo fa; il testo è di un messaggio che ho ritrovato – e qua arriva la cosa per cui sono sempre un po’ imbarazzato – e che avevo canalizzato nel 2016. Lo avevo registrato come vocale sul telefonino, ma in verità non sono io. Mi spiego meglio; faccio un po’ questo esercizio come fosse un flusso di scrittura, mentalmente, cioè cerco di acchiappare la prima parola, cerco la seconda, la terza, mi registro, cerco di non fare attenzione assolutamente a quello che dico, mi riascolto e mi vengono dei messaggi così. Per cui io sono il canale di questa roba. Ora gli scettici se mi dicono che scientificamente non è possibile, non me ne frega nulla nel senso che quel messaggio secondo me ha una sua logica, una sua potenza, come in questo caso, vince il senso che ha, che trasmette. Poi un giorno capirò se il mio inconscio, il mio angelo custode, il mio spirito guida mi ha indirizzato».

Andando indietro nel tempo, nel 1997 uscì CRX, l’album spartiacque nella carriera dei Casino Royale, che giocava d’anticipo sulle tendenze musicali italiane con un focus più sull’elettronica. Riascoltando il brano The Future sembra che i tempi siano stati anticipati per davvero, soprattutto nel testo in cui si parlava già di casa, di una mente schiacciata e impolverata dalle ansie, una vita lenta in cui porte e finestre sono chiuse e la carica emotiva è tesa: «Allora, te la dico tutta. Già da un po’ di anni, talvolta, quando sono in difficoltà faccio questa pratica chiamata channeling. Se fai channeling la gente pensa a una roba new age a queste cose qua, invece probabilmente io già un semino nella mia maniera di entrare in contatto con altro, probabilmente lo avevo già, avevo un canale aperto, per cui ad un certo punto questa cosa l’ho tenuta molto privata. Sicuramente tante cose che ho scritto in seguito sono state influenzate da alcune immagini che arrivavano dai messaggi, dalle canalizzazioni, però ho anche pensato: “Alì è un momento difficile, alla fine questa è solo energia buona, cosa ti importa di chi giudicherà, di chi dirà questo si è inventato sta roba, è un pazzo. Fregatene”».

«E questo primo test, in verità l’ho fatto passando questo pezzo canalizzato a tutti i musicisti; ho preso il brano – Scenario – l’ho mandato ad altri con le tracce separate e ho spiegato che quello che richiedevo non era un remix, di non usare la voce, ma ascoltare il pezzo. Poi ho dato libertà di fare quello che volevano e sentivano, ispirati dall’ascolto. Chiaramente ognuno ha reagito a suo modo, c’era chi sapeva di questa cosa che faccio, c’era chi mi ha chiesto cosa fosse, chi non mi ha chiesto nulla, chi mi ha detto: “È bellissimo, sei stato bravo”. E allora per onestà intellettuale ho detto: “Guarda un giorno ti spiegherò, non è che sono proprio io” – e continua – Così i musicisti si sono passata questa traccia un poco di mano in mano, l’ho data a Dj Gruff che mi ha indicato due altre persone, a Gloria Campaner, una mia amica pianista, che ha creato una composizione al piano, c’è Baricco che suona la macchina da scrivere, l’ho data a una mia amica che ci ha fatto suonare il basso, lei poi l’ha mandata a un suo amico che vive nell’isola della Bretagna a cui erano morti due amici per cui quell’urlo che si sente è “soffred”. Ognuno ci ha messo del suo e ha dato una sua rilettura e secondo me si è un po’ unito questo flusso di coscienza fatto, come dire, di musica».

Il testo di Scenario è molto intimo ed empatico, si ripete nel lungometraggio in diverse lingue, sembra che sia il mezzo di un viaggio che può essere interpretato come lo spostamento veloce del virus nel mondo o semplicemente come il viaggio mentale di ognuno di noi, l’unico che potevamo permetterci chiusi nelle nostre case: «Questa è una dimensione, una realtà che più o meno tutti stiamo vivendo in maniera planetaria e ho pensato: “Quello che verrà fuori sarà una testimonianza di questo momento” – spiega Alioscia – Sono come delle cartoline da casa che raccontano in questo assemblaggio una connessione, un momento di empatia, di unione, di solidarietà. In quel momento in cui uno stava a cantare Azzurro sui balconi ho pensato che ci saremmo dimenticati di questa cosa mentre questo rimane un frame di uno stato emozionale collettivo. Questa è l’idea, ma so che per me è stata anche un’esigenza, mi è servito un po’ per unirmi ad amici e per trovarne degli altri. E non hai idea di quanta gente poi mi abbia detto, quando ho spiegato questa cosa della canalizzazione, di praticare la meditazione e alla fine ho preso consapevolezza che è un momento di crisi generale dove, anche il nostro apparente benessere è avvelenato un po’ dal nostro disagio, la gente sta cercando di recuperare un equilibrio in altri modi, per cui è anche più disponibile a capire che esistono altre strade».

Ritornando sempre al testo l’attenzione viene catturata sicuramente da alcune parole; individuo, collettività, legge del branco che forse stanno a indicare che la quarantena abbia portato ad una selezione naturale: «Sicuramente ha messo a dura prova molti, ma forse ci ha anche dato, nel panico, un po’ di lucidità; abbiamo visto che tutta la scenografia in cui eravamo immersi è crollata in un secondo. È vero che noi per abitudine tendiamo un po’ a rimuovere e andare avanti, ma come aveva scritto su un balcone una persona che conosco: “Volemose bene pure dopo”». Per assurdo, lo star bene in primis con noi stessi e poi con gli altri, potrebbe coincidere con il sottrarre il superfluo dalla nostra vita “less is more”, mentre dalle abitudini assunte nella vecchia normalità abbiamo avuto l’illusione del contrario, ossia che aggiungere sempre un tassello fosse l’approccio giusto per una vita migliore. «Non si può pensare che questa cosa abbia fatto bene, penso che sia una porta o un portone di un’emergenza sociale che se si manifesterà saranno cazzi. Ho scritto sulla lavagna di un bar dove andavo ogni tanto: “Quanto ci mancherà la nostra vecchia normalità… se fosse solo l’aperitivo?”. Vai a capire che cosa ci manca. Però è anche vero che vivevamo un momento di esaltazione; siamo passati dal Rinascimento, un po’ al Barocco, al Rococò, sotto il vitello dorato tutti a ballare ed è arrivata questa botta».

Il trucco per poter uscire meno feriti da una situazione critica è cercare di vedere sempre il lato positivo, ammesso che questo momento storico ne possa avere; un pensiero potrebbe essere che il virus ci abbia livellato, senza guardare in faccia nessuno, quindi una consolazione è quella che insieme si possono raccogliere i cocci e ripartire. «Lo spero perché secondo me il vero punto adesso è costruire un “noi”. È questa la vera sfida, su questo dovrebbe puntare la città, io parlo anche con il Comune, con gente che fa la comunicazione. Però per me semplicemente è una situazione che prima o poi aspettavo; non mi aspettavo il virus, però mi aspettavo qualcosa. Se ascolti l’EP che uscirà a ottobre è esattamente la colonna sonora di questo momento. Il primo pezzo che ho scritto comincia con: “Io la vedo, non prevedo, aria di festa e apocalisse”. Questo perché ero giunto a un punto in cui, vivendo poi in un mondo di socialità, sentivo che c’era una forte esaltazione; tutti potevamo diventare famosi, ricchi, milionari, tutti quanti sono dei media e delle potenziali star, tutti quanti concentrati sui singoli; perché poi l’utilizzo dei social network porta all’individualismo, anche artisticamente. Molte persone che stimavo e che ho spinto un casino dal punto di vista artistico si ubriacano di divismo».

«Il modello Londra di cui parla sempre Sala a me terrorizza; Londra è una città bastarda, durissima, è un modello di città dove tu non sei un cittadino ma sei un utente, vieni considerato un cliente di un posto più o meno bello, ogni quartiere in cui vai hai i soliti servizi, i soliti negozi, le solite catene che ti offrono tutto e intanto “brucia l’anima a tutto quanto” e diventa un posto forse soltanto per chi se lo può permettere – continua – Però poi quando succedono i casini, loro come community di quartiere o di zona, si uniscono e sono un “noi” cosa che invece noi facciamo un po’ fatica a realizzare, perché è la mentalità italiana. Spero che questa cosa qui ci faccia fare un po’ un salto. È evidente però che guardando un qualsiasi report, in questo periodo, in cui ci dicevano di stare chiusi in casa e poi magari erano i primi che inculavano i soldi, non si possono fare le analisi perché ci sono i loro interessi, allora ad un certo punto l’uomo comune si sente legittimato a dire: “Vaffanculo, mi fai la morale? Allora io se posso approfittare di qualcosa lo faccio”».

L’unione Casino Royale e Pepsy Romanoff è consolidata, Alioscia e Peppe si conoscono da tempo, anche perché il regista vanta numerose collaborazioni con moltissimi artisti musicali ed è considerato creatore di nuovi linguaggi espressivi: «Ho mandato il brano a Peppe e successivamente ho iniziato a inviargli i pezzi che arrivavano dagli altri musicisti in ordine, non c’è stato un particolare editing nella sua genesi – spiega Alioscia – Così lui mi ha proposto che gli sarebbe piaciuto un sacco abbinare delle immagini, perché questa alla fine è una colonna sonora. È vero, ognuno se l’ascolta poi viaggia a suo modo perché riesce a costruire la propria storia personale, la propria visione, però era una grande opportunità. Girare nel periodo di quarantena era un po’ da pazzi. Poi Peppe mi dice che ha voglia, ma non riesce a trovare l’occasione, di mettere assieme tutto il materiale che ha girato negli ultimi dieci anni. Viaggiava per dei brand, per girare il clip a qualche cliente, ma poi prendeva la sua camera con il cavalletto, riprendeva la finestra, l’albero e girava i luoghi in cui si trovava. Così mi ha detto che apriva i suoi archivi in modo da creare qualcosa. Mi ha chiamato entusiasta dopo il primo test, riguardando poi quello che lui aveva messo assieme gli ho dato ragione. Non è semplicemente una carrellata randomica di immagini montate giusto per farlo».

Ed è vero, il risultato è un racconto onirico, visionario ed emotivo di grande impatto; la percezione è assolutamente personale, le musiche enfatizzano le emozioni, i contrasti tra uomo e natura, velocità e sospensione, sono molto marcati; la velocità della luce e della vita che scorre in contrapposizione con le singole esistenze sospese, tanto che ad un certo punto nel discorso Alioscia mi interrompe e mi chiede se tutto quello di cui stessi parlando fossero delle mie impressioni personali. Gli rispondo di sì, sono semplicemente le mie impressioni dopo aver visto per ben due volte il lungometraggio e allora, ritornando al discorso che è sempre tutto connesso, mi confida che un brano del prossimo EP dei Casino Royale si intitolerà Fermi alla velocità della luce.

«Quelle volte che ci sono quegli esseri umani è un archetipo, sei tu o potrebbe essere chiunque altro, mille storie. Quando ho visto alcune immagini, ad esempio la ragazza che si trova su un treno che lui (Peppe ndr.) ha filmato di nascosto, mi sono chiesto chi fosse, dove andava. È questa cosa qua è un viaggio che parte, è entrare nelle intimità, rubare quasi il sogno di quella ragazza che dorme, lo spazio nelle case e poi questi spazi aperti con i ghiacciai che dici: “Wow!”. Come per la musica anche per le immagini, le fai tue e le contestualizzi in base al tuo know how e alla tua sensibilità. È una forma d’arte? Si è una forma d’arte forse non hai quell’imbarazzo e non vogliamo che la gente ce l’abbia nel dover pensare: “Aspetto che arrivi la fine perché voglio leggere che cosa intendevano loro”. È molto open source come interpretazione e va bene così, è un flusso suo come è stato un flusso sonoro collettivo l’altro».