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I Nothing But Thieves sono dei Jeff Buckley incazzati

Non c’è definizione migliore per descrivere i Nothing But Thieves di quella che la loro etichetta gli ha accostato, ossia che Conor Manson e soci sono dei Jeff Buckley, solo più incazzati. E basta ascoltare il loro terzo lavoro in studio, Moral Panic, per rendersene conto. Pare che la pandemia non abbia troncato i progetti dei cinque di Essex infatti, oltre all’uscita dell’album, il gruppo ha annunciato tre livestream – Live From The Warehouse – che si terranno il 28 e il 29 ottobre; la band si esibirà in tre incredibili set in tre diversi fusi orari, presentando i brani del nuovo album, rarità, grandi classici del loro repertorio, cover e tracce riarrangiate in maniera inedita.

«Sarà strano non suonare davanti ad un pubblico, ma siamo super entusiasti di fare questi concerti – spiega Connor Mason via Zoom – anche perché sono tre scalette diverse, abbiamo voglia di novità, proporre brani noti anche in un’altra veste. Vogliamo che i fan siano felici di sentire questi pezzi; da una parte è dura fare un live in condizioni normali, ma questa può essere “una scusa” per vedere e sentire una band in un modo completamente diverso».

Preceduto dall’uscita dei tre singoli – Is Everybody Going Crazy?, Real Love Song e l’ultima ballad Impossible – che hanno raggiunto oltre 18 milioni di visualizzazioni, Moral Panic è, come sottolinea Conor, un album scritto prima della pandemia: «Per la prima volta i brani non sono stati scritti on the road, parlano meno di noi, è un album politico che dà voce alle tensioni e al dolore che vivono le persone e il mondo che ci circonda». E questo si nota anche dalla copertina dell’album: un’esplosione di colore che permette una molteplice lettura del significato.

I brani affrontano problematiche attuali che coinvolgono l’intero sistema: il cambiamento climatico, la nocività dei social, i disordini politici e un generale desiderio di staccare la spina e fuggire via, per cercare di ritrovare sé stessi guardandosi dentro. Undici tracce che raccontano, come spiega Connor, un sentimento collettivo con sonorità nuove rispetto ai due album precedenti: «Oggi abbiamo l’esperienza che ci consente di sperimentare senza la paura di osare, sia musicalmente sia per la scrittura». «Moral Panic è un disco forte dell’esperienza – continua il chitarrista Joe Langridge-Brown – rappresenta un nuovo inizio, un nuovo capitolo. Cerchiamo di non pensare troppo proprio perché non abbiamo paura di osare».

Nell’ascolto non si può fare a meno di notare un suono più moderno della loro musica che risulta essere una scelta più artistica che di marketing: «Dom (Craik ndr.) è molto attento alle novità a livello sonoro, è un produttore molto prolifico, non solo a livello pop rock ma anche di hip hop. Lui è sempre con le antenne rizzate ed è grazie a lui che il nostro sound è molto fresco. Abbiamo voluto spingerci oltre i confini del rock, perché se da una parte amiamo il tormento e le urla del rock degli anni Settanta, noi in realtà facciamo un rock più moderno. Viviamo in un’epoca in cui si è radicata la cultura della playlist per questo si può parlare di fluidità a livello di generi musicali e credo che questo abbia a che fare con la nostra musica».

Sull’argomento Langridge-Brown sottolinea: «Se guardiamo al nostro pubblico notiamo che la differenza di età e culturale è molto ampia e questa cosa mi piace molto perché vuol dire che suoniamo freschi, suoniamo attuali. Non siamo partiti con quell’intenzione, di conquistare un determinato pubblico, però se questo è il risultato vuol dire che la nostra proposta musicale è particolarmente ampia».

«Siamo cinque individui con cinque personalità che però confluiscono nella nostra musica, come un melting pot che riunisce tutte le varie influenze e le varie emozioni – dice Conor parlando del modus operandi che ha portato alla realizzazione del disco – Se in un gruppo c’è una persona che fa tutto diventa anche un po’ noioso da ascoltare, mentre la cosa bella secondo me è che ci ascoltiamo, prestiamo attenzione all’input di ognuno di noi, ecco perché poi ogni canzone che realizziamo è un po’ un pezzo unico».

Impossible è sicuramente il brano che si differenzia dalle altre tracce, soprattutto a livello di sound: «Mentre scrivevamo questo pezzo non ne venivamo fuori e pensavamo addirittura di scartarla, la ascoltavamo tutto il giorno chiusi in una stanza e non riuscivamo ad andare avanti perché quando ascolti e continui ad ascoltare i tuoi pezzi, ad un certo punto si crea un po’ di distanza»», mi raccontano. «E allora Don ha preso la canzone, ha cambiato l’accordo, è tornato da noi il giorno dopo e ascoltandola l’abbiamo percepita in modo diverso. Il disco è molto denso dal punto di vista dei testi, è un po’ pesante e cupo e per noi è importante che ci sia un brano di apertura, di respiro, di positività come Impossible. Quel pezzo ha un po’ cambiato l’album, se non fosse stato inserito questo disco risulterebbe inascoltabile». Sulla dedica dell’album, se fosse indirizzato a qualcuno in particolare, i Nothing But Thieves hanno le idee chiare: «È un disco che parla delle persone quindi trovarne una in particolare a cui dedicarlo forse sarebbe un po’ da ipocriti».