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Shawn Mendes, cosa abbiamo imparato da “In Wonder”

“Anche se”. Chiunque potrebbe fare un elenco infinito delle volte in cui se lo è detto. Davanti allo specchio, in camera da solo, davanti ad altre persone. “Anche se ho fatto questo, forse avrei fatto meglio a fare quest’altra cosa”. Gli “anche se” riempiono la nostra vita e sono spesso quei mostri che rendono le stanze tremendamente strette e soffocanti. Ecco: In Wonder, il documentario Netflix su Shawn Mendes, è pieno di “anche se” che riempiono lo spazio. Se vi aspettate di trovarci dentro tanti spoiler sul nuovo progetto discografico del cantante in uscita a dicembre, rimarrete delusi. In Wonder, infatti, racconta – tra passato e presente – gli ultimi anni della carriera del cantante, mettendo al centro di tutto il suo ultimo world tour. Una tournée complicata, bellissima ed estenuante, iniziata il 7 marzo ad Amsterdam e conclusa il 21 dicembre a Città del Messico. Insomma, se siete facili alle lacrime, In Wonder vi metterà a dura prova. Questo perché è un film emotivamente difficile che esplora il lato umano di Shawn Mendes, il ragazzo dietro la popstar, le fragilità dietro una voce incredibile. Il mio consiglio, prima di proseguire nella lettura, è di aprire Spotify e cercare Intro (potete ascoltarlo anche qui sotto), brevissimo brano utilizzato anche nel trailer del documentario. Premete play, ascoltatela e poi ascoltatela ancora. Intro è l’essenza di In Wonder. È la lacrima che vi scenderà alla fine del documentario. È tutti gli “anche se” di Shawn Mendes che vengono raccontati nel documentario.

Non sei invincibile, anche se sei Shawn Mendes

In Wonder racconta la parabola di un fallimento. Il docufilm ci mostra diverse date del Shawn Mendes: The Tour. Gli stadi pieni, le ragazzine che piangono, Shawn estasiato di fronte alla grandezza dei posti in cui canterà. «Non voleva diventare famoso, diceva che sembrava una vitaccia», racconta la sorella minore. E per tutto il documentario si ha proprio la percezione che sì, Shawn forse non voleva diventare famoso, ma è la cosa più bella che gli sia capitata nella vita. Come ogni parabola, però, arriva a un suo punto massimo, per poi cominciare a discendere. Ed è così che alla novantacinquesima data del tour, a San Paolo, in Brasile, Shawn non ha più voce. Non riesce a cantare. Ci prova, si confronta coi suoi medici e alla fine, a pochi minuti dall’apertura dei cancelli, annulla il concerto. Le ragazze piangono. Piangono una quantità di lacrime che non è paragonabile però a quelle versate dal cantante. Vulnerabile, fragile, devastato dal non poter salire sul palco, videochiama sua madre al telefono. Non può parlare, si capiscono con i gesti. Ed ecco che quello che viene chiesto a noi, come spettatori, è di capire quale tipologia di fallimento abbiamo davanti. Perché Shawn Mendes fallisce, ma sa rialzarsi. Piange, ma non si butta giù. Si chiude in sé stesso, ma poi pensa a come esprimere agli altri quello che prova. E le persone lo capiscono. Tant’è che quella stessa serasi ritrova sotto la finestra dell’hotel duemila persone che urlano e cantano le sue canzoni. Questa è l’arte della comprensione. Questo è il potere che hai quando riesci a farti amare. Quando qualcuno ti ama, capisce anche quando stai male. A conferma che la comprensione è la chiave di tutto.

Anche se sei Shawn Mendes, avrai sempre nostalgia di casa

Quello che traspare dalle quasi due ore di documentario è il grande attaccamento di Shawn Mendes alla famiglia e ai suoi amici. Suo padre, Manny, lo segue in diverse date del tour. Alcuni dei suoi migliori amici lavorano con lui. Però, per quanto possa essere bella la vita da popstar, la nostalgia di casa dopo quasi un anno di tour si fa sentire. «Vorrei fare le cose normali», dice l’artista ad un certo punto. Durante il documentario, alle immagini del tour e del presente, vengono alternate immagini di Shawn da bambino e adolescente. Prima un bambino e un adolescente come tanti. Una grande passione per la musica, una chitarra e una bella voce. Le cover su Vine sono le sue chiavi per il paradiso. Il suo manager, Andrew Gertler, racconta di averlo scoperto grazie alla cover di Say Something degli A Great Big World. «Tra i primi risultati c’era lui». E ancora oggi, se cercate su Google, subito dopo Christina Aguilera troverete la cover realizzata nel 2013 da un giovanissimo Shawn Mendes.

Il vero amore esiste ed è quello tra Shawn e Camila Cabello

Se mi chiedessero dopo aver visto In Wonder a cosa penso quando mi si dice “vero amore”, direi che penso a Shawn Mendes e Camila Cabello. I due, racconta proprio il cantante nel documentario, si sono conosciuti quando lei cantava ancora nelle Fifth Harmony. Si sono poi incontrati di nuovo, un po’ di tempo dopo, nel backstage di un concerto di Taylor Swift dove hanno scritto la hit mondiale Señorita. Da quel momento non si sono più lasciati. «È come quando vedi la luna in un cielo stellato e vorresti fotografarla con il tuo iPhone, ma non ci riesci, la foto non viene. Non è fatta per essere immortalata. È una cosa solo per noi», racconta Shawn Mendes. Tutte le sue canzoni sono dedicate a lei. Camila è la sua più grande ispirazione, il suo grande amore, il suo «diario magico».

Non ha alcuna intenzione di nascondere le sue imperfezioni

Quello che capiamo dai primi minuti di In Wonder è che non vedremo una versione falsa, patinata, di Shawn Mendes. Il documentario si focalizzerà sulle sue fragilità, sul suo essere umano in un mondo che vorrebbe le popstar come dei supereroi intoccabili e che non versano mai una lacrima. E invece lui piange, si emoziona e crea legami veri con le persone e con il suo pubblico. Shawn, soprattutto, accetta le imperfezioni. Tutti quei piccoli momenti ad un primo sguardo sbagliati che si possono trasformare in occasioni. «Le imperfezioni non vanno solo accettate, ma anche cavalcate, perché è l’imperfezione di un attimo a diventare magia nell’attimo successivo», dice. Forse è proprio per questo che nell’unico vero momento in cui parla del suo nuovo progetto discografico, verso la fine del film, Shawn spiega che nelle canzoni che sta scrivendo si parlerà anche di ansia. «Parlo di ansia, più come una cosa con cui convivere che come una nemica da contrastare». Perché anche l’ansia è una piccola imperfezione, da abbracciare e con cui convivere. Che forse lo fa vivere sempre sul filo del rasoio, ma probabilmente lo fa sentire sempre un po’ più vivo.