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I Simpson sono il vero romanzo storico della nostra generazione?

Molti anni universitari dedicati allo studio delle discipline storiche mi hanno insegnato che per entrare in connessione con un periodo storico è spesso consigliato, in prima battuta, partire dalla lettura di un buon romanzo piuttosto che da quella di un freddo manuale. Chi può mostrarci per esempio cosa ha voluto dire lo scoppio della rivoluzione industriale meglio delle avventure di Oliver Twist? Quale modo migliore per approcciarsi alla cultura araba della fiabesca raccolta di novelle orientali Le mille e una notte? Oppure dei Promessi sposi per misurare paure e speranze degli “umili” del Seicento? Nel 1895 nascerà il cinema, in seguito, negli anni Venti, la televisione. Sarà però solo a partire dal Secondo Dopoguerra che questi mezzi prima affiancheranno e poi finiranno per offuscare la parola scritta come principale mezzo d’informazione e, al contempo, di evasione. Ne consegue che è probabilmente su uno schermo che dovremmo cercare quell’opera che meglio possa rappresentare la società contemporanea. Sfogliando il calendario della storia si scopre che il 17 dicembre 1989, a poco più di un mese di distanza dalla caduta del Muro di Berlino, va per la prima volta in onda, negli Stati Uniti, il primo episodio de I Simpson: una serie costruita attorno all’idea di una famiglia con molti difetti, piuttosto lontana da quelle perfette di diverse serie televisive andate in onda nei decenni precedenti. Sarà solo la prima di una valanga di avventure, per un totale che ad oggi supera le settecento (sì, settecento) puntate.

La società che gli omini gialli raccontano è quella post-industriale e post-guerra fredda, quella della rivoluzione digitale e della globalizzazione ma, oltre a fotografarla attraverso le eterogenee personalità dei membri che compongono la strampalata famiglia – un padre pigro e sovrappeso, una madre apprensiva e affettuosa, il figlio monello, la bambina intelligente e sensibile e un’adorabile neonata – la serie si è da sempre servita di una galassia riferimenti ispirati al mondo reale. Oltre seicento celebrità sono apparse nei suoi episodi, in camei o come protagonisti: più di cento tra cantanti e gruppi musicali, la bellezza di tredici Presidenti degli Stati Uniti, scienziati, attori, imprenditori, artisti e sportivi a non finire. Non esiste probabilmente al mondo un prodotto più citazionale dei Simpson, non vi è evento o persona di rilievo che la serie non abbia mancato di prendere in considerazione: dal festival musicale itinerante Lollapalooza al carnevale di Rio, passando per il Superbowl, i giochi olimpici, la finale dei mondiali di calcio, l’Oktoberfest, gli Oscar e il Sundance Film Festival. Nessuna città o quasi è rimasta al riparo dalla loro visita. Un romanzo però oltre che illuminare un periodo storico mostrandone i personaggi e gli stili di vita per essere davvero considerato grande deve saper accostare all’intrattenimento anche la trattazione di temi moralmente profondi.

Dietro alla loro facciata maleducata I Simpson hanno saputo fare anche questo, sanzionando i vizi della società contemporanea – lo sfruttamento dei lavoratori (attraverso il capitalismo esagerato del signor Burns), la superficialità dei media (con il giornalista Kent Brockman), il bigottismo religioso (con il vicino di casa Ned Flanders), il bullismo (con il giovane Nelson), la condizione di abbandono degli anziani (con il nonno Abraham Simpson) – ma anche sapendo abbracciare i valori più importanti: i sacrifici dei genitori verso i figli, l’idea di non giudicare di fronte alle apparenze, di combattere le ingiustizie, il rispetto per la natura o l’esaltazione dell’uomo come fautore del proprio destino. Proprio in questi giorni in cui rimbalzano di nuovo voci riguardanti la messa in onda di un possibile ultimo episodio è impossibile non pensare a come fra molti anni, quando una maestra vorrà parlare ad un giovane alunno degli anni Novanta o Duemila, non vi sarà modo migliore che accendere la tv e sintonizzarsi sulla leggendaria Springfield prima ancora che studiare su un libro, per la gioia, possiamo scommetterci, di Homer Simpson.