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Dopo 77 singoli, la musica non è finita. E neanche Ligabue

La costituzione degli Stati Uniti ha più di 200 anni ed è rimasta completamente immutata da allora. Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori della nazione, forse non ne sarebbe tanto contento. Secondo lui, la costituzione avrebbe dovuto essere rivista ogni 19 anni. Questo perché le cose cambiano e c’è un momento particolare nella propria vita, o anche più di uno, in cui bisogna mettere in discussione tutto, anche sé stessi. Seduto dall’altra parte dello schermo c’è un uomo sorridente, pronto a rispondere alle domande di decine di giornalisti. Ha il volto rilassato, di chi è sicuro di ciò che fa. Non è teso, non è preoccupato, sembra quasi che non sia vero, che al posto suo ci sia un robot o la controfigura maschile di Maria Teresa Ruta. E invece no, è proprio lui. Sorride. Luciano Ligabue è uno di quei mostri sacri della musica italiana. Uno di quelli a cui bisognerebbe fare un monumento, o riprodurne il volto sulla roccia, tipo monte Rushmore. E se dovessero scegliere un’espressione da immortalare, penso che sarebbe proprio questa. Lui che sorride tranquillo. Presenta un doppio disco che racchiude i suoi 77 successi e sette «canzoni nuove, che hanno il seme nel passato», si chiama 77+7, appunto.

La storia di questo 7 ripetuto quasi ossessivamente rapisce tutti. Racconta che sette sono le lettere del suo nome, sette quelle del cognome, San Luciano si festeggia il 7 gennaio, le iniziali di nome e cognome se rovesciate sono due sette, il primo concerto è datato 1987, il primo stadio 1997, Certe notti, la sua canzone-simbolo, è la traccia numero 7 dell’album, e una marea di infinite altre coincidenze che ci teletrasportano subito in una puntata di Mistero condotta da Daniele Bossari. Non sento di potermi definire un grande fan di Ligabue, ma sono sicuro di aver ascoltato tutte le 77 canzoni di questa raccolta almeno una volta. Questo perché Ligabue è un prodotto DOC italiano, tipo il Parmigiano Reggiano. Un artista unico che piace un po’ a tutti.

Trent’anni di carriera e 77 successi, significa una media di un singolo ogni cinque mesi, che non è affatto poco. E oggi si capisce perché non sia preoccupato, insomma, non ha mica fatto un disco techno. Non c’è alcun featuring con Benny Benassi, ed Elettra Lamborghini non twerka sulle note di Piccola stella senza cielo. Ma passando in rassegna, traccia dopo traccia, i 7 album che compongono questa raccolta, riesco a capirne davvero il senso, l’essenza nascosta a chi non è andato oltre il concetto di best of. La riflessione che ne esce è proprio questa: se c’è una persona che ha saputo mettersi in discussione quando ha visto che qualcosa cambiava o stava cambiando è proprio Ligabue. Se c’è qualcuno che è riuscito a non rimanere un monolite, nonostante la componente granitica e la promessa di un monumento eretto da qualche parte in Italia, è proprio lui.

Sì, è vero quello che state pensando: i giri armonici sono sempre quelli da trent’anni e un certo sound sembra essere sempre molto presente. Ma questa è solo una parte, quella più evidente. Ciò che più difficilmente viene alla luce è quanto ogni disco sia attuale e al tempo stesso incastrato nel tessuto culturale e nel momento storico in cui è stato pubblicato. Ogni pezzo apre una parentesi diversa, che non viene mai chiusa. E quando il mondo si è fermato (per colpa del covid, ça va sans dire), si è fermato anche Luciano. Si è guardato alle spalle e ha fatto il punto della situazione. L’EP di 7 tracce che conclude il lavoro è un viaggio a ritroso nel tentativo di recuperare delle parentesi mai aperte. Canzoni lasciate nel cassetto per tanti anni che oggi, pubblicate, hanno il sapore di quell’epoca, ma ritrovano senso proprio se ricontestualizzate oggi. Tipo l’esempio del nuovo singolo, Volente o nolente, che vede la partecipazione di Elisa (il primo featuring inserito in un suo album).

Lo racconta così: «Ho scritto quindici anni fa Gli ostacoli del cuore, ho chiamato subito Elisa. Le ho detto: “Sappi che ho una canzone pensata per te ma se non ti piace, me ne farò una ragione”. Detto questo, come paracadute preparai il provino di Volente o nolente. Io ed Elisa ci siamo ritrovati nel mio studio di registrazione a Correggio ed è stato un pomeriggio speciale. Abbiamo registrato con chitarra acustica e piano tutte e due le canzoni. Quando ho riaperto questo cassetto ho ritrovato Volente e nolente che è una canzone che parla di due persone che sono costrette a stare separate – quindi è attuale ancora oggi – e si scambiano desideri naïf, ingenui e candidi. Quei desideri erano cantati da Elisa e mi sembravano davvero credibili ancora oggi. Così ho preso la voce di Elisa di quindici anni fa e insieme a Barbacci ci ho costruito tutta la canzone. Lei è l’unica voce femminile presente nei miei dischi».

Quando Ligabue ha scritto questo pezzo non avrebbe mai potuto immaginare come la vita si sarebbe interposta fra persone che si sono viste separate da un momento all’altro, eppure oggi ogni parola di questa canzone sembra scritta per questo speciale momento storico. E a proposito di questi tempi duri, Luciano dice che «stiamo pagando e pagheremo lo scotto psicologico di questa situazione. La creatività è condizionata da questo umore. Ma la musica è importante perché scatena una reazione, una voglia di muoversi con un sentimento di speranza ed è per questo che ho sempre cercato di trasferire tutto questo con il mio lavoro e in queste 7 canzoni inedite. Non credo che le canzoni possano risolvere la vita delle persone ma possono dare conforto, una mano sulla spalla e il calore, possono tenere compagnia e io spero che queste nuove canzoni e anche quelle della nostra storia possano tenere un po’ di compagnia».

L’idea che la musica possa aiutare le persone è un qualcosa in cui lui crede davvero, probabilmente perché in primis ha aiutato lui. Parla di un periodo davvero difficile della sua vita, e lo fa ponendo il quesito: cosa mancherebbe alla musica italiana se Ligabue avesse smesso di suonare vent’anni fa? «Avevo deciso di lasciare tutto nel 1999 – dice – Allora non ero preparato alla mole di successo che mi era arrivata. Anche chi mi conosceva bene aveva iniziato a parlarmi in maniera diversa, parlava all’immagine che aveva di me. Era un anno che seguiva Buon compleanno Elvis e Radiofreccia. Mi ero reso conto che un certo tipo di visibilità ti espone a tutte le correnti. Non ero pronto ad essere raccontato ma non ero nemmeno pronto all’isolamento che la notorietà produceva. Una vocina dentro di me mi ha chiesto se valesse la pena non fare più concerti, così ho deciso che non potevo fare a meno dei concerti e andare avanti»-

E forse l’andare avanti è il fine ultimo di questo progetto. Non possiamo di certo dire cosa sarebbe la musica italiana senza i suoi 77 pezzi, ma possiamo dire senz’altro che cosa ha rappresentato Luciano Ligabue nella storia della canzone italiana. Il suo guardare avanti è anche un dono di speranza in queste tristi circostanze. Voltarsi indietro un istante, per non rimanere intrappolati per sempre nel proprio (seppur glorioso) passato. Ligabue ha deciso di rimaneggiare quel passato, il suo vissuto, l’esperienza di tutta la vita, come se appartenesse tanto a lui quanto a tutti noi.