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Sydney Sprague, musica in attesa della fine del mondo

«Penso sia davvero interessante che sia diventata una specie di standard della musicista donna. Vedo che la maggior parte delle donne che pubblicano musica in questo momento viene paragonata a lei anche solo per il fatto di essere donne», mi risponde quando le chiedo se il paragone con Phoebe Bridgers la infastidisce. Nata a Phoenix, in Arizona, Sydney Sprague ha appena pubblicato il suo primo disco che unisce l’indie folk al pop, la tristezza alla speranza. Si intitola Maybe i Will See You At the End of the World e contiene dieci canzoni a cui la cantautrice 28enne è particolarmente legata, canzoni piene di ricordi che descrive come «semplici ed emotivamente vulnerabili».

Perché questo titolo, Maybe i Will See You At the End of the World?
La maggior parte delle canzoni parlano di una relazione a distanza. Faccio molta fatica a gestire l’ansia e penso sempre alle situazioni peggiori, quindi imparare ad affrontare la mancanza di qualcuno è stato molto difficile per me. Mi sentivo come se stessi passando la maggior parte del mio tempo aspettando di essere felice. Ma soprattutto temevo che il mondo sarebbe andato in pezzi e avremmo finito il tempo a disposizione prima ancora di poter stare insieme.

Ad un certo punto del disco (in Object Permanence ndr.) canti “When I think of you I, I get angry and I/I see couples in love, I hope they die”, in che senso?
L’ho scritta durante una relazione a distanza che stavo vivendo. Sai, quando si è soli e vedendo altre persone insieme e felici, è facile sentire quell’amaro in bocca. In realtà non auguro la morte a nessuno (ride ndr.). Quando però ero in quella situazione e in quello stato emotivo, mi ha ricordato di ciò che non potevo avere in quel momento. “Gelosia” credo sia la parola giusta.

Con che musica sei cresciuta?
Sono cresciuta con un sacco di pop e l’alternative rock degli anni Novanta. Il primo album che ho comprato è stato Baby One More Time di Britney Spears, da lì mi sono appassionata poi più al pop/punk ed emo e poi ancora all’indie.

Qual è la tua più grande paura?
Che la società crolli e che si viva tutti in uno scenario da film horror post-apocalittico: penso sempre che stia per succedere e non è ancora successo, quindi spero che non accada mai. Ad esempio durante le elezioni americane ho avuto paura, tutto sembrava così instabile, incerto. Poi l’attacco a Capitol Hill, decisamente il momento peggiore.

Hai pubblicando il tuo primo album senza alcuna possibilità di presentarlo dal vivo, come ti fa sentire questo?
Sto cercando di essere positiva, questa situazione mi ha permesso di concentrarmi sulla realizzazione dei videoclip e dei contenuti promo, senza la pressione aggiuntiva di pianificare e andare in tour. Non nascondo che sarebbe bello essere in grado di suonare le canzoni dal vivo o almeno presentarle in livestream. In qualche modo questo mi fa sentire ancora più collegata al pubblico.

Ora che il tuo disco è fuori, hai già pianificato il futuro?
È difficile fare progetti quando il presente è così incerto, come d’altronde è stato strano pensare fino a qualche giorno fa all’uscita dell’album. Ho già il prossimo disco pronto per essere registrato, quindi spero di poter rilasciare nuova musica il più presto possibile.