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Jack Johnson è alla ricerca della sua zona franca

Il ritorno sulla scena musicale di Jack Johnson, a cinque anni da All the Light Above It Too, è colorato di sfumature rassicuranti. Non tanto per il ruolo che, nel tempo, l’artista si è trovato anche erroneamente a coprire. Non è mai stato del tutto a suo agio nei panni di chi celebra la bellezza della vita ad ogni costo. Sarebbe anche semplice per lui, nativo delle Hawaii, sempre a contatto con il mare e paladino della natura (ricordiamo le iniziative a favore dell’ambiente come la Kokua Hawaii Foundation). Tuttavia, non è proprio così. Con l’ottavo lavoro in studio, Meet The Moonlight, il cantante rimette in circolo tematiche legate alla contemporaneità – dai social media, alla disinformazione, alla sfera socio politica – assieme ad un’ispirazione dall’approccio sia personale che universale. Ad emergere è il desiderio di trovare una zona franca, lontana da irascibili complicazioni, per godere pienamente anche dei piccoli frangenti quotidiani. Anche del chiaro di luna. Non è una fuga ma un tentativo di respirare a pieni polmoni, accanto a chi amiamo. Accompagnato dal sound che lo contraddistingue, con aperture acustiche rilassate, passaggi soft rock, slanci reaggaeggianti e pillole blues e country, Johnson si rivolge al suo pubblico come un amico, come un adulto, e lo invita a cercare la propria dimensione.

Che cosa accade quando incontri la luna?
Mi piace molto uscire di notte e dovrei farlo più spesso. La canzone è una specie di promemoria per me stesso. Talvolta anche il gesto più banale, come portare fuori la spazzatura a fine serata, può invitarti ad uscire e alzare lo sguardo al cielo per incontrare la luna. Oppure dare da mangiare alle mie galline. Spesso mi chiedo: perché non lo faccio più spesso?. Ecco il mood di questo titolo: vai, prendi una decisione, esci dalla porta, senza pensare agli obiettivi a lungo termine. Siamo così concentrati sulla prospettiva da rischiare di perdere gli attimi più preziosi.

Qual è stato il processo creativo che ti ha portato al disco? E c’è un filo rosso che lega le canzoni?
In un certo senso scrivo sempre canzoni, ma allo stesso tempo non le scrivo mai davvero. Metto insieme alcune idee, le spargo dappertutto ma non mi siedo mai davvero per pensare ad una canzone. A quel punto interviene mia moglie che mi ha sempre aiutato a fare ordine, ad organizzarmi, a riunire in una cartella tutti i testi che appoggio in posti diversi. Molte volte, quando non ricordo di aver avuto una buona idea, è lei a ricordarmela. È fantastica e mi conosce davvero bene.

Da quanto la conosci?
Stiamo insieme da quando avevamo diciotto anni.

Tornando al disco, che ruolo ha ricoperto Blake Mills?
Blake Mills
(Fiona Apple, John Legend ndr.) ha reso la registrazione e la produzione molto più dinamiche e coinvolgenti. Prima era sempre il solito processo: chitarra, poi inserivo le basi, il basso, poi tutta la band. Con Blake, invece, ci siamo seduti uno di fronte all’altro, abbiamo suonato con due chitarre, decidendo a poco a poco se prendere per buona la versione più lineare o aggiungere qualcosa.

Blake Mills lo hai descritto come uno dei musicisti più talentuosi che tu abbia incontrato.
Lavorare con qualcuno che crede davvero in ciò che componi è una fortuna immensa. Le canzoni sono qualcosa di profondamente personale e vedere quanto Blake ha avuto fiducia in questi brani è stato fantastico. Sono sempre stato molto propenso a registrare da solo. Quando lo faccio, mia moglie mi dice «Certo vai ma sai già cosa accadrà». Accade questo: mi siedo, lavoro tutto il giorno, cercando di migliorare qualcosa. E quel qualcosa invece peggiora. Allora continuo, entrando in un circolo vizioso perché è come se niente mi soddisfi abbastanza. In questa fase, entra in gioco il produttore che ti sprona ad andare avanti, di passare al prossimo brano, che ti piaccia o meno. Blake ha tirato fuori una nuova anima dalle tracce, si è rapportato con me con sincerità, consigliando che cosa tenere, che cosa lasciare, su cosa riflettere per una notte in più e come modellare il disco mano a mano che prendeva forma. Mi sono fidato di lui perché amo la sua musica e gli album che ha prodotto.

Concludo con un ricordo personale legato all’edizione 2020 del Kokua Festival, in live streaming. È stato davvero un momento di sollievo e riconnessione in quel periodo.
È così bello sentire che hai questo ricordo. Ci siamo divertiti tantissimo ad organizzarlo, pur essendo stata una decisione dell’ultimo minuto. Non ci eravamo resi conto di quanto lavoro potesse richiedere ed ognuno ha dato il suo contributo: chi portava i propri computer, mia nipote teneva in mano le lavagne con il nome del prossimo artista, i miei figli correvano in giro con i microfoni. Ad un certo punto è anche entrato mio fratello mentre stavo registrando. «Vattene da qui», e sono scoppiato a ridere. Ogni volta che ci torna in mente, pensiamo che dovremmo rifarlo dal vivo.