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In “Will of the People” i Muse cantano la lotta alle politiche dell’oppressione

I Muse tornano con Will of the People in cui ripropongono la propria formula vincente senza risultare (stavolta) banali. A fare da apripista è la title track, un nuovo inno che suona come la nuova Uprising: i riff heavy sono, assieme ai synth, la chiave di tutto. In alternanza alle melodie più aggressive ci sono le ballad al piano come Liberation, fortemente influenzata dall’arte di Freddie Mercury, immaginata già come canzone ideale degli encore durante i concerti assieme a qualche vecchio pezzo e Ghosts (How Can I Move On), che suona proprio come una nuova colonna sonora per un nuovo Twilight dei giorni nostri. I singoli pubblicati in precedenza, Compliance e Kill Or Be Killed, sono molto diversi fra loro: il primo, molto catchy e adatto all’annuncio di un ritorno in grande stile, il secondo decisamente più convincente con chitarre più distorte e virtuosismi nell’assolo, traccia heavy metal perfetta per quelli in prima fila pronti a fare headbanging.

I suoni anni Ottanta trovano il loro apice in You Make Me Feel Like It’s Halloween, una buona ripresa dopo le ballad proposte che strizza l’occhio all’immaginario creato da Somebody’s Watching Me di Rockwell con l’iconica voce di Michael Jackson nel ritornello, e che in fondo sarebbe piaciuta anche a uno come Eddie Munson. Non mancano mai nemmeno le sonorità orientate sui suoni dell’elettronica, come in Euphoria. Ad ogni modo il ritmo scandito dalla cassa è forte e solido, un rock & roll da stadio che rende bene l’idea della potenza di una simile band vista dal vivo. A catturare l’attenzione però non è solo la sezione ritmica; i Muse continuano a proporre testi drammatici fortemente ispirati alla letteratura come in Verona o basati su mondi e tempi distopici – proprio come nei loro vecchi The Resistance e Origin of Symmetry – con la differenza che in Will of the People parlano di ciò che è più assurdo per tutti: il nostro presente.

I testi di Matthew Bellamy sono ancora una volta contro le politiche dell’oppressione (“You’ll hear our voices, they’ll rise even though we’re under siege”) e dalla parte del popolo e della rivoluzione intesa come risveglio morale collettivo dalla paranoia data dalla realtà (“Give us euphoria/It’s been all work and no play/Give us euphoria/I need to numb all the pain”). Notevole è la traccia di chiusura, We Are Fucking Fucked: un crescendo di energia data dalla perfetta unione della drammaticità del testo, dove ci vengono ricordati gli incendi, le guerre, la pandemia e i terremoti. Se è vero che nulla si crea o distrugge ma che tutto si trasforma, in continua evoluzione, possiamo affermare che i Muse, dopo tentativi di sperimentazione e di ricerca di nuovi suoni, abbiano scelto di tornare a qualcosa di più suggestivo all’interno dell’alt-rock, che forse più compiace i gusti del proprio pubblico.