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Gli Amazons sono la band di cui avevamo bisogno

Mentre sto per parlare con Matthew Thomson degli Amazons, sento arrivare dall’altra stanza il rumore dei dialoghi alla tv. Mi alzo per spegnarla: c’è sempre qualche problema di audio quando si fanno interviste in remoto con artisti stranieri. Una volta arrivato in sala, mi accorgo che in tv c’è una scena abbastanza cult di La ricerca della felicità e penso che un brano di How Will I Know If Heaven Will Find Me? degli Amazons calzerebbe alla perfezione con quelle scene così emozionanti. È da lì che parte la nostra chiacchierata. «La TV e il cinema, in effetti, sono molto d’ispirazione per noi artisti. Mi piace pensare che non ce ne sia solo una, di immagine. Posso farti un elenco veloce?», mi chiede. «La vista di Brighton dal mio attico, una spiaggia vuota durante il lockdown, la i70 – una lunga strada aperta che abbiamo percorso per tre giorni attraverso Missouri, Kansas e Colorado nel nostro ultimo tour prima del covid. E poi le palme di Finley Avenue, nella East Side di Los Angeles. La pioggia che filtra attraverso il tetto di paglia di una baracca in Baja California, Messico».

Sono immagini molto diverse, come diverso è il rock. Onestamente parlando, credi stia agonizzando?
Ti faccio una contro domanda: cosa intendi per “agonizzando”?

In Italia molti giornali prendono come riferimento il 1991, ultimo grande anno del rock che rappresenta – a loro modo di vedere – una sorta di canto del cigno.
Tu che ne pensi?

Per me non è così, altrimenti non starei parlando con te.
Infatti mi trovi d’accordo. Penso che al momento ci sia della musica davvero fantastica in uscita. Ognuno ha avuto spazio durante il lockdown per esplorare il proprio suono ed evolversi senza sentire addosso la pressione delle uscite nel breve termine.

Quanto a voi?
Stiamo solo cercando di fare la musica più appagante possibile, il nostro percorso richiede troppo tempo per preoccuparci di altro.

A proposito di sound: hai coinvolto Jim Abbiss nel processo di creazione del tuo nuovo sound come anche Craig Silvey. Loro hanno lavorato con Arcade Fire e Arctic Monkeys. Sono alcune delle tue maggiori influenze?
Quando abbiamo iniziato a lavorare con Jim gli ho detto che senza la musica su cui ha messo le mani, non saremmo qui oggi. Il suo apporto alla musica di Bombay Bicycle Club in particolare ci ha completamente ispirato quando nella nostra prima adolescenza abbiamo formato una band.

Chi è l’artista che non può mancare nella playlist degli Amazons?
Ci sono così tanti artisti che dobbiamo avere nelle nostre playlist: Bowie e Springsteen, nello specifico, sono dei must.

Devo farti una confessione: volevo a tutti i costi il vostro vinile limited edition fatto in collaborazione con Blood Records, ma purtroppo non ho fatto in tempo, sono andati sold out all’istante.
Mi dispiace tu non sia riuscito ad acquistarlo (ride ndr.) ma posso dirti che ci saranno altre sorprese per recuperare.

Credi molto in questo supporto musicale e in una fruizione più qualitativa della musica?
Non credo che formati come il vinile non moriranno mai. La collaborazione con la Blood Records che abbiamo fatto per l’album è stata così speciale e diversa da qualsiasi cosa avessimo fatto prima. Abbiamo creato qualcosa che vale la pena possedere, e far suonare sul tuo giradischi, seduto sul tuo scaffale. Questa è l’unica battaglia da combattere. Per creare qualcosa che valga la pena avere nella sua forma fisica.

E quali sono invece i vantaggi che l’era dello streaming può offrire ad una band come gli Amazons?
È una scoperta continua per me, trovo così tanta musica alla quale non sarei mai stato esposto nel pre-streaming. E questo è solo un bene.

Questo album è più solare del precedente. I sentimenti a cui ti riferisci riflettono il tuo reale stato emotivo?
Assolutamente sì, sono frutto del mio vissuto più recente. Hai ragione sul fatto che sia un disco più solare. Non sarebbe potuto essere altrimenti.

Quali sono le esperienze a cui fai riferimento?
Abbiamo trascorso più tempo in Italia, ad esempio. I suoni riflettono sicuramente le mie posizioni degli ultimi due anni. Los Angeles e il Messico hanno avuto una grande influenza sulla musica che stavo ascoltando. Sebbene i testi abbiano a che fare con la distanza e la natura episodica della mia relazione, il suono dell’album è stato in gran parte una risposta ai confini della vita in isolamento. Non volevamo fare un disco tranquillo e introspettivo che corrispondesse alle nostre vite quotidiane. Volevamo fare musica per un futuro in cui suonavamo ai festival e viaggiavamo. Musica per fare da colonna sonora, come accennavi prima, alla community degli spettacoli dal vivo e alla connessione umana.