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Il ritorno dei The Rasmus sa di rinascita

Accendo Zoom, dall’altra parte dello schermo c’è Lauri Ylönen. «Sono nella nostra sala prove, è sempre stata questa sin dagli inizi ed è bello tornare dove tutto è cominciato», mi dice rilassato mentre sorseggia un caffè. I The Rasmus hanno da poco pubblicato il loro decimo album, Rise, dopo cinque anni dall’ultimo Dark Matters e un’edizione speciale per l’anniversario di uscita di Dead Letters, l’album che nei primi anni del nuovo millennio li ha ufficialmente consacrati nell’olimpo del rock finlandese e nel resto d’Europa. Ne è passato di tempo da In The Shadows e nel mondo della musica è sempre più frequente il senso di nostalgia dovuto a pubblicazioni e tour che sanno un po’ di revival. Mi chiedo come questo possa essere vissuto da uno come lui sia in veste di musicista che di ascoltatore: proprio la sera prima i Blind Channel, altra band finlandese esplosa dopo l’Eurovision vissuto assieme ai Måneskin, erano sul palco di un club milanese completamente sold out, giunti quasi alla fine di un primo tour europeo di successo.

Questa new generation di artisti crea, a modo proprio, look già visti e suoni già ascoltati, ma non per tutti: Lauri dice di essere contento di questa comeback era. «È quello che abbiamo sempre fatto e suonato, solo che ora è un po’ più mainstream. È bello assistere al ritorno sulle scene dei My Chemical Romance e in questo modo, anche tramite lo streaming, i ragazzi di oggi possono conoscere quel che non hanno avuto modo di vivere in passato, che si tratti degli HIM o dei Nirvana». Due mondi diversi, quindi, ma non poi così tanto: i The Rasmus condividono con una giovane band come i Blind Channel proprio l’avventura all’Eurovision, ma se per i secondi è stata un trampolino di lancio, i primi l’hanno vissuta con l’esperienza di una band consolidata. «Siamo sempre più legati all’Italia, Torino ci ha fatti sentire a casa. Abbiamo suonato tanto in tutti questi anni, ci è sembrata una cosa interessante da provare soprattutto perché è avvenuta al momento giusto. La band si era sciolta un anno e mezzo prima ma la voglia di continuare c’era, così ho contattato Emppu Suhonen, la nostra nuova chitarrista, che da subito è diventata una di noi». A colpirmi è la serenità con cui Lauri mi parla di tutto questo, accennando anche alle battaglie personali come quella contro la depressione: quello che ho davanti è un artista davvero soddisfatto dei passi fatti finora, ispirato dai cambiamenti avvenuti all’interno della band. Salire su un palco così importante con una figura femminile dal talento e dalla presenza scenica non indifferenti e un nuovo singolo, Jezebel, che rispecchia fedelmente lo stile del gruppo è davvero una ventata d’aria fresca che sa di rinascita.

Parlando del disco, a spiccare su tutti sono i brani Evil, più sperimentale, Fireflies dal testo cupo ed evocativo e la ballad Odyssey. Lauri è lì a raccontarmi i retroscena della singola canzone e dell’intero disco, registrato in maniera inusuale da diverse parti del mondo in piena pandemia, che di certo ha influenzato il processo creativo. Molto dei testi è incentrato sulla solitudine. «Fireflies riflette il mio stato d’animo durante le registrazioni: parla di una persona introversa che sente il peso del mondo crollargli addosso, intrappolato nel buio che è la sua vita in quel momento e capace di poter tollerare solo la luce delle lucciole», mi spiega. «Odyssey invece è dedicata a una persona a me cara, che però non vedo quasi mai. Vive da sola tra i boschi e mi torna in mente a volte quando sono in posti affollati come New York. Penso a quanto siano diverse le nostre vite, la mia così frenetica in tour e la sua così calma, osservata dalla finestra del salotto».