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Ora i Santi Francesi vogliono solo godersi il viaggio

Alla fine degli anni Cinquanta, dopo diverse sperimentazioni, Yves Klein creava finalmente “la più perfetta espressione del blu”. Un blu oltremare intenso, per lui sintesi perfetta tra cielo e terra. Forse non sarà esattamente l’International Blue Klein in colore scelto dai neo vincitori di X Factor per la copertina di In fieri pubblicato una manciata di giorni fa. «Il blu è un colore che ci accompagna da sempre, ed è anche il mio colore preferito», racconta Alessandro De Santis, metà di questo duo che ha una storia ancora tutta da scrivere. E proprio per questo il titolo del loro EP non è assolutamente casuale. «È una locuzione latina che significa “in divenire”, “rimanere a lungo tempo incompiuto”, un’espressione che abbiamo incontrato tanti anni fa e ce la siamo sempre portati dietro come unica piccola definizione di noi stessi». I Santi Francesi non hanno riti, motti, modi di fare. Solo l’idea di essere “incompiuti”, di non dover arrivare da qualche parte. «Nella musica è così», mi raccontano. «Puoi raggiungere dei traguardi materiali, il disco di platino o il palazzetto, ma allo stesso tempo puoi costantemente cambiare direzione. Non arrivi mai veramente da qualche parte e noi non avremo mai nulla da insegnare a nessuno: vogliamo solo goderci il viaggio, rimanendo a guardare».

In un viaggio, che ha radici ben più profonde di X Factor, i Santi Francesi non si sono confrontati solo con la loro musica, ma anche con quella «non è più neanche una canzone perché lì, ferma nella storia»: Creep dei Radiohead. «Quando me l’ha proposta gli ho chiesto se fosse sicuro, perché in generale era un rischio e saremmo potuti risultare banali», racconta Mario Francese. «Alla fine l’abbiamo presa, spogliandola, con un’esplosione finale che ci rappresenta». «Il tema del brano ci ha dato una mano: l’idea di sentirsi mostri, è qualcosa che personalmente ho provato spesso nella mia vita. Creep descrive quei trip che ci facciamo nella nostra testa, chiedendoci se siamo persone “buone o cattive” in maniera precisa», racconta Alessandro. I Santi Francesi sono riusciti a cogliere una sfumatura di tutto questo, del sentirsi “mostri”, sempre in bilico con noi stessi, in Il pagliaccio, inedito del loro EP. «Il significato sta in pochissime cose, tra immagini e piccole dediche che ho fatto ad una persona a me cara», spiega la voce del duo. «Racconta l’abbandonarsi alla tristezza, usandola come forma d’arte. Credo che in generale si faccia fatica a fare pace col fatto che la musica non debba per forza essere veicolo di sensazioni positive, perché può essere volutamente fastidiosa, pungente, triste. Questa canzone è un veicolo per me per trovare la bellezza nel dolore più immenso». Se i Santi Francesi sono “in divenire”, quasi come sospesi in un tempo che sembra impazzito, nei quattro inediti di In fieri sono riusciti a condensare le loro anime, dai pensieri struggenti al rock, con una forte e chiara dichiarazione, d’intenti e soprattutto d’amore per la musica, condensata in Spaccio con i Fast Animals and Slow Kids.

«La frase iniziale di Spaccio tiene in piedi tutto il significato del testo: parla di quella sensazione, che io ho percepito proprio ad un concerto dei Fast Animals and Slow Kids per la prima volta in vita mia, di non avere più paura di niente. Aimone (Romizi ndr.) poi ha proprio questa abitudine di affrontare ogni concerto come se fosse l’ultimo della sua vita». Così, i Santi Francesi ringraziano, anche loro stessi, per tutte quelle emozioni che si riescono a provare solo salendo su un palco. E sarà proprio su diversi palchi, da Roma a Torino, fino a Milano, che avranno ancora una volta l’occasione di raccontarsi. «È la prima volta che qualcuno pagherà per venirci a vedere (ride, ndr.). È una sensazione assurda e “panico” è la prima parola che mi viene in mente pensando ai cambi venue dopo i sold out». Inevitabile, mettendo sempre la musica al primo posto, parlare con il duo non solo dell’esperienza a X Factor, ma anche di quella ad Amici, in quello che sembra un lontanissimo 2018. «È partito un po’ tutto per scherzo. All’inizio eravamo titubanti, spaventati dall’idea di farci giudicare da quattro persone e di farci filmare. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi, perché l’abbiamo vissuto con leggerezza e libertà d’espressione, stabilendo dei paletti. Non volevamo parlare di noi, e infatti abbiamo usato pochissimo i social, perché volevamo comunicare a livello artistico. In tutto questo, siamo anche riusciti a vincere».