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I Circa Waves ti invitano alla resilienza

In conversazione con il leader dei Circa Waves su “Never Going Under”, il desiderio di arrivare in cima e di quando voleva essere la migliore rockstar del mondo.

Never Going Under può essere un mantra, un motto, un invito alla resilienza, ma prima di tutto è il titolo del quinto album in studio dei Circa Waves. La band originaria di Liverpool, tra i massimi rappresentanti dell’indie-rock di stampo britannico, è tornata per mostrare una fotografia sonora del futuro, delle paure e delle insicurezze legate ad esso e del mondo che lasceremo ai nostri figli tra quindici anni. «Il disco è nato principalmente durante il lockdown», mi racconta Kieran Shudall, il leader del gruppo. «È molto rock & roll, con tanti assoli di chitarra e batterie. Penso che il fatto di non essere riusciti a fare tanti concerti e suonare dal vivo in questi ultimi anni, ci abbia automaticamente spinto a realizzare un progetto che avremmo fortemente voluto portare su un palcoscenico. Never Going Under è un invito alla resilienza, dato che abbiamo vissuto dei tempi veramente folli, in cui ho provato a raccontare che sarei stato bene». La pandemia è stato un buon momento per fermarci a riflettere su noi stessi e per pensare con ottimismo al futuro. Per la band, indubbiamente lo è stato anche a livello creativo. «Prima della pandemia, eravamo stati in tour per sette anni. Ogni volta che smettevamo di suonare, tornavamo in studio per registrare un nuovo disco e poi eravamo di nuovo on the road. Siamo tornati con quello che crediamo sia un sound molto più rock rispetto ai dischi precedenti».

Mi viene spontaneo chiedergli quale sia stato l’aspetto più complesso della realizzazione di questo nuovo disco, dovendo far fronte ad un momento storico del genere. «Con i ragazzi (la band ndr.) ovviamente non ci siamo visti quanto avremmo voluto. Quando si lavora tutti insieme, ci si scambia sempre tanti feedback e ci si confronta costantemente rispetto alla direzione da intraprendere con un determinato brano. Durante la pandemia, invece, comunicavamo via mail. Il nostro modo di restare connessi era cambiato, e questo mi aveva portato a sentirmi ulteriormente isolato e separato dal resto della band. In quei momenti ti vengono dei dubbi, perché non sai se la canzone su cui stai lavorando ti stia piacendo veramente o se tu stia scrivendo qualcosa che ti renda veramente felice». Gli chiedo anche come sia possibile rendere la nostra vita meno infernale su questo pianeta. Kieran mi guarda e ride, cogliendo il riferimento a Hell On Earth – un assaggio di Never Going Under rilasciato lo scorso agosto. «Non guardate il telegiornale. Evitate i social media a tutti i costi e piuttosto uscite a fare una passeggiata. Respirate, cercare di coltivare delle relazioni con le persone che vi piacciono e che sono gentili con voi. Circondatevi di persone belle, che non dicano cose negative sul vostro conto, ma che sappiano amarvi e supportarvi. Non prendete tutto troppo sul serio, ma godetevi la vita».

Le sue parole hanno un chiaro peso specifico, specialmente dopo la diagnosi di pericardite infiammatoria che ha obbligato i Circa Waves a posticipare il mini tour di lancio del disco. Per fortuna Kieran è già in via di guarigione. In Carry You Home – uno dei pezzi più emozionanti del disco – canta: “And I just wanna be the best I can/But I’m not sure if I’m the man you sold/And I’m supposed to be Superman”. I versi in questione riflettono pienamente la vulnerabilità del rocker di Liverpool e il desiderio di raccontarsi a suo figlio eliminando la narrativa del padre di famiglia perfetto. «Quando è nato mio figlio, mi sono chiesto che tipo di figura paterna sarei stato per lui. Ho proiettato su di me l’idea che ho sempre avuto di mio padre da piccolo: una persona super forte, risoluta e che sistemava tutto quello che si rompeva in casa. Mentre scrivevo Carry You Home, mi sono chiesto: anche io dovrei essere esattamente così? Nel pezzo, racconto come sia il padre dei miei sogni, ma al tempo stesso di come io non possa essere quel tipo di persona». È veramente difficile rimanere nel presente. «Nessuno ci è ancora riuscito e chi dice di farlo, sta mentendo. Nel disco c’è una canzone in particolare (Living in the Grey ndr.) che parla del desiderio di arrivare in cima. Quando avevamo firmato il nostro primo contratto, il primo pensiero collettivo era stato: ce l’abbiamo fatta. Ma con il passare del tempo mi sono reso conto di non essere veramente felice».

Obiettivi a parte, cavalcando l’onda dei ricordi, ci ritroviamo a parlare di festival e del loro valore nella cultura britannica ed internazionale. «Pensare di scrivere una canzone tra le mura della mia camera e sentire trentamila persone cantarla a squarciagola… niente batte quella sensazione. Suoneremo ancora una volta in giro per il Regno Unito e in Scozia (recentemente la band ha annunciato anche quattro date in Australia ndr.) ma non so ancora dirti che festival faremo. L’anno scorso abbiamo già dato con il Reading & Leeds e non so se ci ripeteremo». Prima di salutarlo, dopo esserci confrontati su come dare un senso al nostro presente e non avere troppa ansia nei confronti del futuro, gli chiedo cosa direbbe a sé stesso se tornasse nel 2015, l’anno del debutto dei Circa Waves con Young Chasers. «Cercherei di essere meno severo con me stesso. Quando ho iniziato a fare musica, avrei voluto essere disperatamente la migliore rock star del mondo, ma alla fine mi sono reso conto che per diventare un buon artista non devi essere necessariamente come Bono».