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Ariete canta la malinconia e la fragilità, ma è una tosta per davvero

Ariete parla dei suoi guai da ventenne, di Calcutta con cui ha scritto il brano di Sanremo a quattro mani e del suo messaggio di inclusione.

Se c’è una cosa che trasmette Ariete fin dal primo istante in cui inizia a parlare è una rassicurante sensazione di trasparenza e spontaneità. Vale a dire tutto ciò che la sua platea di ascoltatori (ampissima) apprezza maggiormente in lei. Canta di malinconia e fragilità, ma è una tosta per davvero. Per tutta la durata della chiacchierata appare tanto schietta – come è giusto e bello essere a vent’anni – quanto altrettanto determinata. A 21 anni ancora da compiere, si appresta a partecipare per la prima volta a Sanremo. La sua presenza in gara è già carica di aspettative perché Ariete, all’anagrafe Arianna Del Giaccio, è una delle cantautrici più rivoluzionarie del nuovo millennio. Lei invece, più che preoccupata, è curiosa. «Presa bene», direbbe. Così come quando è stata annunciata come cantante in gara della settantatreesima edizione del Festival. «Io quel giorno il telegiornale non l’ho neanche visto. Ero ad Amsterdam e ho messo il telefono in modalità aereo». La incontriamo a tre settimane dall’inizio di Sanremo in una Milano che – confessa – non ama molto. «Roma è di gran lunga meglio», dice. Mi parla dei suoi guai da ventenne, dello zio pazzo per il Festival, dell’influenza di Calcutta con cui ha scritto il brano di Sanremo a quattro mani, del suo messaggio di inclusione, diverso da tutti gli altri. Mare di guai è il nome della canzone che porterà sul palco dell’Ariston, nata la scorsa estate nello studio di Dardust.

Per lei, che è solita non far entrare i più nel suo processo di scrittura, è un cambiamento importante. «Dario aveva questa produzione su cui, a suo avviso, ci potevo stare bene. Ho scritto dunque la prima strofa, il pre ritornello e il ritornello». Spiega che la tonalità iniziale era totalmente diversa rispetto alla ballad che suonerà tra qualche giorno. E confessa pure che, almeno inizialmente, i dubbi a riguardo erano parecchi: più che un brano scritto ad hoc per Sanremo, era per lo più un flusso di idee sparse. «Quando però mi sono trovata in studio con Edoardo (Calcutta, co-autore del brano ndr.), a lui il pezzo ha convinto fin dal primo ascolto: allora mi sono fidata, infondo è uno dei miei artisti preferiti in assoluto». Ed è così che è nata la seconda strofa, scritta a quattro mani, a cui poi è stato aggiunto lo special sul finale, palesemente calcuttiano. A mesi di distanza, riascoltando il brano completo a serrande chiuse, anche Arianna sembra essersi convinta: «Ho capito che non avrei potuto optare per scelta migliore. Spero che questo sia un buon augurio per il Festival: in effetti, più che vincere, spero che la mia canzone possa convincere, magari anche a distanza di tempo, così come ha convinto me. Aveva ragione mio zio Marco». Lo zio Marco, racconta Ariete, è un irriducibile fan del Festival, per il quale la settimana di Sanremo è tipo la settimana santa. «È stato tra i primissimi ad ascoltare il pezzo che porto in gara, senza la sua approvazione non si sarebbe andati avanti».

Mare di guai è firmato assieme a due artisti che di classifiche se ne intendono. Al primo ascolto risulta un brano ipnotico, in cui il sound gioca un ruolo determinante. Al secondo, ti invoglia a cantare il ritornello a squarciagola. «In studio il pezzo suona bene ma con l’orchestra è tutt’altro storia: ti avvolge, come un abbraccio musicale. Provarlo all’Ariston è stata una bella botta emotiva». Tratta di una rottura, che è una classica tematica affrontata dalla cantautrice originaria di Anzio nelle sue canzoni. «La cosa mi viene spesso criticata, ma a me piace elogiare certi sentimenti, tra i quali anche la malinconia. Quando va tutto bene vado a ballare con i miei amici, non scrivo canzoni; quando invece qualcosa non va, anche a distanza di mesi, sfrutto quell’emozione per scrivere. Si tratta del mio processo emotivo che spesso coincide con quello creativo». Come canzone, racconta Arianna al 100%: vent’anni, un talento da vendere di cui è ben consapevole, fragile e sicura in un connubio che lei soltanto riesce a tener tanto bene assieme. Quello di portare qualcosa che la rappresentasse appieno, nato in maniera così tanto naturale, era l’unico modo, riconosce, con cui si sarebbe potuta presentare su un palco decantato come quello della rinomata località ligure.

Nel brano si parla di malinconia è vero, ma anche di rinascita e di quotidianità. Soprattutto, per tutta la sua durata, Mare di guai trasuda verità. «Al centro c’è una relazione finita. È fortemente introspettivo, in cui è come se io cercassi aiuto in questa persona, chiedendole di buttarsi con me nelle cose perché non sono in grado di nuotare con gli squali. Non vuole rinnegare il mio passato, anzi. Rimane un brano malinconico ma diverso da tutti gli altri». Quegli squali che rappresentano tutte le paranoie e le insicurezze di una ragazza di vent’anni: «Un po’ per l’età, un po’ per tutto quello che mi è esploso addosso da due anni a questa parte. Quando metto in pausa tutto e prendo un attimo per pensar a quello che sto vivendo, non sempre me ne capacito». In quello che è poi lo spezzone di intervista forse emotivamente più sentito, probabilmente ancor più per Arianna che per Ariete, l’artista icona della Generazione Z si lascia andare ad un fiume di parole e ragionamenti che si susseguono vicendevolmente. È la normalità a caratterizzare il messaggio di inclusione che vuole portare, sul palco di Sanremo allo stesso identico modo che nella vita di tutti i giorni. Questa cercata normalità lo rende unico, diverso da tutti gli altri.

«Da sempre lotto per le problematiche che riguardano la comunità LGBTQIA+ e non ho mai avuto il bisogno o l’esigenza di farmi portavoce di qualcosa. Andavo al Gay Pride pure prima della popolarità e tutto ciò che ho sempre fatto e che continuo a fare a sostegno dei diritti civili lo faccio perché sono Arianna, non Ariete. Non voglio diventare nessuna icona per questo, il mio è un messaggio di inclusione rivolto a tutti. Ho sempre creduto che più ci si fa la bocca sul tema, più se ne sottolinea la diversità. Mi auguro che si arrivi al più presto ad una sensibilità tale che a nessuno colpisca o interessi se esco con la testa rasata o con le trecce, tenendo per mano una ragazza o piuttosto se un ragazzo indossa la gonna o i tacchi». Sul finale, l’ennesima interessante riflessione del pomeriggio, riguarda il cast sanremese di quest’anno. Una lista di nomi di indubbia eterogeneità. A dimostrazione, ancora una volta, che tutto ciò che va forte in rete è solo una piccolissima parte dell’enorme panorama musicale italiano. Arianna questo sembra averlo capito meglio di chiunque altro. «La lista degli artisti in gara mi affascina. Se c’è Ariete non vuol dire che non può esserci Anna Oxa, Cugini di Campagna o Giorgia, che sono tutti nomi rispetto ai quali io posso solo mettermi in fila».

Anche da questo deriva il forte ridimensionamento con cui Ariete si è trovata a fare i conti in queste settimane, fatto di maturità e di una sorprendente consapevolezza. L’uscire dalla bolla dei propri fan, per lo più giovanissimi, il prepararsi ad impressionare anche chi, quello che Arianna ha scelto come nome d’arte, lo associa ancora unicamente ad un segno zodicale. «Non voglio aspettarmi di padroneggiare nulla, se non la mia performance. Proprio su questo sto lavorando tanto: ho una vocal coach che mi segue in tour da due anni e da inizio gennaio stiamo lavorando sul brano, sui respiri, sul parlato. Sanremo è il luogo per eccellenza della meritocrazia, in cui più di ogni altra occasione vale quanto sei competente e preparato. Eppure rimane comunque imprevedibile, ci sono tantissimi fattori che nemmeno riesco a toccare con mano. Non ho aspettative ma obiettivi: cantare al meglio delle mie possibilità e uscirne più forte che mai».