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I Måneskin dal vivo sono un uragano che non puoi controllare

I Måneskin fanno tutto giusto nella prima data italiana del Loud Kids Tour.

L’assist per scrivere l’intro me lo dà il tassista che, alle due di notte, ha un’evidente voglia di chiacchiera che poco ha a che fare con il mio mood. Ho un paio d’ore scarse di sonno in corpo, vorrei chiedere pietà ma rispondo alle sue domande: da dove sto tornando, come mai sono stata a Torino. Quando rispondo «ero a sentire al Pala Alpitour i Måneskin», lo sento deglutire. Non si trattiene e mi dice: «Bravi eh, ma adesso che cantano in inglese uno se l’inglese non lo sa come fa? Non capisce niente». Potremmo avviare una discussione di svariate ore su questo tema, ma rispondo con un «eh, ha ragione», e aspetto la domanda successiva, che riguarda il loro look della serata. Per essere la prima data italiana del loro Loud Kids Tour, la band questa sera era piuttosto sobria, con tutine total black Gucci. Nonostante la mia risposta sia piuttosto esaustiva, il tassista non perde l’occasione di sottolineare come il loro abbigliamento, in generale, sia fuori luogo («Si vestono da donna»). E a questo punto non posso fare altro che rimanere in silenzio, sperando di arrivare a casa il prima possibile, pagare poco la corsa e sperare che, prima o poi, anche le generazioni passate accettino che le donne possono indossare una cravatta e gli uomini degli stivali in latex.

Quello che conta davvero però, in una notte sold out con tredici mila spettatori, è lo show proposto dai Måneskin, che cantano in inglese sì, ma propongono anche i loro pezzi in italiano, e sul palco potrebbero essere anche indossare dei sacchi della spazzatura, perché vestiti appariscenti contano poco quando c’è la presenza scenica. La prima di trentadue date europee, di cui ventinove già sold out, è un crescendo di emozioni. Un immenso sipario rosso cala, dopo un intro carichissima, e rivela i quattro artisti romani sul palco, che aprono il concerto con Don’t Wanna Sleep. Una scelta decisamente azzeccata, contando che non ci saranno mai “momenti abbiocco”. La scaletta, venti brani più bis, è architettata magistralmente. Damiano, Victoria, Thomas e Ethan alternano sul palco brani da tutta la loro discografia, da Beggin’, brano che li ha lanciati a X Factor e che «abbiamo suonato talmente tante volte che ha rotto il cazzo sia a noi che a voi, ma è tanto bella», fino ai singoli più recenti, tratti dal loro ultimo album Rush!, come Supermodel e Timezone. Se Damiano calca il palcoscenico come la rockstar più rodata in circolazione, Victoria è capace di catalizzare l’attenzione come poche. Mi ritrovo più volte a guardarla, complice la sua vicinanza al mio lato del palco, trovando in lei una confidenza innata con il palco. Quello è il suo posto, c’è poco da fare.

Non sono da meno anche Ethan e Thomas, che si gode il pubblico urlante del Pala Alpitour con un assolo che riapre le danze per il bis, prima di lasciare spazio a The Loneliest. «Mi mette in imbarazzo dire in italiano su le mani», dice Damiano poco dopo l’inizio del concerto. Nel backstage, a fine concerto, in un incontro informale con la stampa, spiega che in inglese questa frase ha tutta un’altra intensità. Sarebbe difficile dargli torto, contando che l’effetto “balli di gruppo” è dietro l’angolo, anche se in questo contesto sarebbe davvero assurdo. I Måneskin dal vivo sono un uragano, una forza della natura, qualcosa che non puoi controllare. E in questo turbinio c’è anche tantissima dolcezza. Non a caso, quelli delle ballad sono i momenti più intensi dello show. Coraline è tra i brani più passionali della band, di cui andrebbe letto il testo un miliardo di volte, per farne nostro il significato. Non chiamiamolo inno generazionale, perché non lo è, ma un’ottima medicina per tutti coloro che hanno paura e che stanno compiendo quel difficile percorso verso l’età adulta fatto di ansie e desiderio di scomparire. Ma è nella parte centrale del concerto, dove Damiano e Thomas si ritrovano da soli sul palco, che il cuore batte all’impazzata e ci si scioglie davvero, finalmente, con tre brani che, uno in fila all’altro, avranno sicuramente fatto scendere una lacrima a qualcuno: Torna a casa, Vent’anni in versione acustica e Amandoti dei CCCP.

«Non voglio fare il boomer, ma se dovete usare i cellulari fatelo per illuminare il palazzetto», chiede Damiano. Perché anche durante un evento live siamo iperconnessi, tra storie, videochiamate a chi non è potuto esserci e messaggi vocali. Tutti, questa volta, si godono davvero il momento, e il Pala Alpitour si illumina a giorno per accompagnare Damiano e Thomas. Il concerto si chiude, prima del bis, con Kool Kids e, come spiega la band, per tradizione un gruppo di fan sale sul palco. Una grande festa, con ragazzi e ragazze che saltano, ballano e cercano di catturare un frammento dei loro idoli, che sia uno sguardo, un sorriso, un tocco leggero. Con cinque date nei principali stadi italiani e un tour che li porterà in giro per l’Europa, i Måneskin sono pronti a conquistare ancora una volta il Paese. Perché sì, canteranno in inglese e l’attitudine è quella di una band che con l’Italia forse a poco a che fare, ma non dimenticano mai le loro radici. Da qui è partito tutto e lo stivale non è solo una tappa obbligata, ma un luogo a cui tornare sempre, che è casa, affetti, emozioni a cui è difficile rinunciare.