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Vipra, quello vero

Il ritorno dell’ex leader dei Sxrrxwland è una reazione calda, compressa, coerente e coesa alla becera monetizzazione delle interazioni umane.

Vipra non le manda a dire. Il suo coraggio è sinceramente filtrato da una nonchalance che mi travolge e mi fa sentire a mio agio fin dal primo momento. Musica dal Morto, il suo nuovo progetto discografico, è volutamente anti-pop, ribelle e graffiante quanto basta per farci trattenere il respiro fino alla sua ultima traccia. Un bel cambiamento di rotta rispetto agli anni trascorsi con gli Sxrrxwland, e alle sperimentazioni del suo disco di debutto Simpatico, solare, in cerca di amicizie. «Avevo in mente una certa idea di disco ai tempi del mio debutto da solista. Volevo sostanzialmente proporre un progetto hyperpop alla Oliver Tree, con una serie di accorgimenti che di fatto sono arrivati due anni dopo in Italia. Non ho potuto nemmeno cavalcare un trend (sorride ndr.). Il mio precedente management mi aveva suggerito di sfruttare alcune mosse mirate, come la presenza di un producer di un certo tipo o di un featuring di livello. Su di me, a questo giro, non lo sentivo necessario. Ho voluto realizzare un disco che piacesse in primis a me. Ho potuto farlo con i miei amici (Flavio Paglialunga, Giacomo Greco e Francesco Bove ndr.), che sono anche i miei vicini di casa. Ci conosciamo da dieci anni e quando gli ho detto: “Ragazzi, i soldi del contratto non mi cambiano la vita, ma ci possono permettere di lavorare per cinque o sei mesi a qualcosa di nuovo”, il disco ha preso forma. È molto spontaneo rispetto al primo. Non c’è nessun tipo di calcolo».

Sicuramente non è da tutti lavorare ad un concept album che ruoti intorno a diverse tematiche sociali, politiche e umane, legandole specialmente alla memoria post mortemi. «È come se mi avessero dato un budget per fare un film da guardarmi da solo», sottolinea. «Scrivendo e avendo scritto anche nel pop italiano, avere una personalità polemica o profondamente sperimentale, non ti ripaga. La cosa più intelligente da fare in questo Paese a detta di molti sembrerebbe essere la creazione di un album fresco, generalista, in cui parlare possibilmente di drammi e di amore eterosessuale. Personalmente, se faccio un pezzo di amore, mi curo del fatto che sia il più possibile genderless. Per una serie di motivi storici e contingenti, la discografia non si muove verso i concept album, ma verso altre tipologie di sperimentazioni, con nomi di un certo calibro e con dei featuring di un certo peso. Ciò che a me interessa, è avere un rapporto diretto con il pubblico. Il disco nasce proprio così. Quanto è importante un concept nel 2023? Zero. Non è sicuramente furbo. Lo ha fatto Marracash, ma ha una potenza di fuoco bestiale». Gli ribadisco che ai miei occhi è sempre stato coraggioso e non è mai venuto meno alla sua missione di criticare costruttivamente l’industria musicale. In Musica dal Morto non è un caso che trovino spazio tante figure controverse o più semplicemente prese di mira dalla società, che li ha spogliati del loro valore umano ed artistico riconoscendogli dei meriti dopo la loro dipartita da questo mondo. Da Mango a Mia Martini, passando per Dimebag Darrell dei Pantera, Luigi Tenco, Sid Vicious, Keith Flint e Mark Sandman dei Morphine. Le loro storie sono scandite da una matrice punk-rock, che accompagna tutto il disco.

«La loro morte li ha innalzati. Sono artisti a cui sono legato non necessariamente da un punto di vista artistico, ma per quello che hanno rappresentato le loro carriere e la loro vita. Darrell è stato ammazzato da un marine dopo un suo concerto, il che ci porta riflettere sull’uso delle armi negli Stati Uniti. Sandman è morto vicino a Roma, di overdose. In ogni pezzo ho potuto sentire qualcosa dell’artista che ho omaggiato. È un’associazione nata sia per via della conformazione del sound che si sente nell’album, sia perché scrivendo in un salotto, in una casa in campagna, si chiacchiera tanto di musica e si fanno certe riflessioni interessanti. Martini per esempio è un brano che è nato postumo, solo dopo aver preso coscienza della visione d’insieme che avremmo voluto dare al disco». Gli dico che in Mr. Popstar – Tenco viene ripetuto come un mantra la frase “Cerca di integrarti“, che poi suona come una costrizione e una rimozione dell’identità del singolo individuo. «La volontà d’integrarsi c’è, perché nella musica esiste il cosiddetto tavolo delle persone cool. Se vuoi essere come loro, devi agire come loro. Devi vestirti come loro. Io mi ci sono seduto vicino perché sono quello che sa scrivere bene e ogni tanto mi chiamano per collaborare, ma la verità è che non fa per me. Ho pensato di lanciare un messaggio in cui dico: lo senti questo suono che monta, è il rumore dell’unione che fa la forza».

All’estero sta succedendo nella scena punk, rock e pop. In Italia, al contrario, esiste solo la scena pop e se hai Spotify (quello gratis), l’unica pubblicità promozionale che passa è quella delle Top Hits. «Prendi ad esempio EQUAL di Spotify: è una stronzata. Può servire, ma se il problema è sistemico cambia veramente poco. Ormai nessun artista è estraneo alle dinamiche dell’industria musicale». Parlare di crescita in termini numerici, effettivamente, è una barbarie. Vipra me lo ricorda. «È in crescita solo perché fa i soldi, come le banche. I soldi li prende solo l’uno per cento di chi fa musica in Italia. Tutte quelle figure professionali che ruotano intorno ad un pupazzo che sta sul palco sono sottopagate, pur rappresentando la vastità del comparto musicale. Si dovrebbe parlare apertamente e con trasparenza di come vengano distribuiti questi soldi. Questo vuol dire escludere tutto un panorama artistico italiano che potrebbe essere molto più variegato, vitale e incline alla sperimentazione. Invece abbiamo sempre la stessa cazzo di musica. Non intendo dire che i Rathauz siano meglio di Mengoni, ma è veramente assurdo che i primi abbiano una piccola rappresentazione perché qualcuno voglia dare più valore o luce a tutto il resto. Non lo vogliono nemmeno gli artisti, ma chiaramente si sviluppa un sistema di competizione alla Masterchef, che è veramente tossico».

Vipra non riesco proprio ad immaginarmelo in un calderone social, che ti mangia vivo e poi sputa le tue ossa. La cultura digitale e la “fan culture”, per intenderci, sono un’arma a doppio taglio. «Spero di tenere sempre una dimensione umana con chi mi segue – mi dice – Credo che saper ascoltare, soprattutto, sia importante. Dall’altra parte mi capitano delle situazioni in cui non mi conoscono, non sanno nemmeno chi sia nel privato e finiscano per manifestare un odio che io non riserverei nemmeno al mio peggior nemico. Mi mandano vocali, foto e ciò che noto è che spesso si tratta di ragazzini. Tempo fa avevo risposto ad uno di loro, chiedendogli: “Perché vuoi ferirmi? Non mi conosci ed è molto improbabile che questo accada”. Sai come mi ha risposto? Con altrettanti insulti. Non rispondeva in maniera costruttiva, non cercava nemmeno di mettermi da parte del torto con la logica. Voleva causare in me una reazione di qualsiasi tipo. Internet e i social sono configurati per questo genere di interazioni. Gli algoritmi non sono fatti per confrontarsi, ma per insultarsi e rimanere della propria idea. È la becera monetizzazione delle interazioni umane». Si ferma un attimo, poi aggiunge: «Musica dal Morto è una reazione calda, compressa, coerente e coesa a tutto questo. Ai numeri, all’essere merce di scambio, ad essere solo un’immagine fatta di pixel sul World Wide Web».