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Chiello ha tanto da dire, ma solo con la musica

Chiello ci ha raccontato della scoperta del grunge negli ultimi anni, di come spera che “Mela marcia” piaccia al pubblico.

Per scrivere l’introduzione a questa intervista, sono partita da una domanda, che in realtà mi pongo spesso anche quando penso a me stessa: è possibile che scrivere e parlare possano essere davvero due cose così diverse? Se uno sa scrivere bene, dovrebbe anche parlare bene, e viceversa. Il condizionale non è casuale, perché non posso provare scientificamente che la parola orale e la scrittura siano connesse in questo senso. Rocco Modello (da qui in avanti Chiello), classe 1999, non è certo uno di quegli artisti che si sbrodola con lunghi discorsi in cui non si arriva mai al punto. Durante la round table con un numero ristretto di giornalisti, risponde con frasi stringate, raccontandoci di come l’album sia nato nella sua cameretta, della scoperta del grunge negli ultimi anni, di come spera che Mela marcia – il suo nuovo album – piaccia al pubblico, ma allo stesso tempo che a qualcuno non convinca, perché «la maggior parte delle persone sono noiose, se piacesse a tutti non sarebbe un successo».

In poco meno di venti minuti risponde alle nostre domande. Alcuni forse speravano in qualcosa di più, ma in questo caso possiamo dire che è la sua musica a parlare per lui. Perché non possiamo e non dobbiamo soffermarci ad una manciata di risposte sintetiche, che probabilmente mal raccontano le tredici tracce di un concept album oscuro, dove le domande sembrano essere più delle risposte che si trovano, un po’ come nel nostro incontro con l’artista. Chiello consiglia di non ascoltare l’album «tutto d’un fiato» ed è quello che faccio, un po’ per abitudine, un po’ perché provare ogni tanto a rispettare le volontà degli artisti non farebbe male a nessuno. Quello che emerge è un viaggio alla scoperta di sé stesso, ma anche di noi stessi. Perché come non ritrovarsi nel testo di Benzo 1 e 2, dove canta: “Volevo dirti che ho deciso di stare meglio/Anche a costo di perderti/Pensi ci riusciremo mai a trovare un compromesso/Io ne dubito/Però se vuoi possiamo provarci/Farci del male ancora un altro po’”. Il racconto tangibile, quasi materico, di quello che in tanti chiamerebbero “amore tossico”, che forse ognuno di noi ha vissuto. Come non soffermarsi su Buonanotte, La mattina dopo e Glugluglu, tre brani che vanno a comporre un’ideale trilogia che racconta quarantotto ore: «È come se fosse una serata spensierata, con la mattina dopo un risveglio consapevole».

Mela marcia non poteva che chiudersi con un brano come Algoritmo, che racchiude anche una ghost track che non doveva essere inserita nel progetto, ma che «nasconde la soluzione alla costante ricerca che si trova negli altri brani». La certezza che Chiello si sia sentito “risolto” una volta chiuso questo disco non la posso avere. Quello che si può dire, però, è che in Mela marcia vi sia un’introspezione voluta, sentita, desiderata. Uno scavarsi dentro con la consapevolezza di trovare anche del marcio, delle brutture, che però non vengono nascoste ma accolte, per restituire sotto forma di musica qualcosa che sia più vivo che mai. E Chiello tutto questo lo ha dimostrato anche durante il release party di ieri sera al District 272, dove è riuscito a creare una dimensione intima e sentita. E, cosa non da poco, dove ha dimostrato di saper cantare bene, rimanendo intonato nonostante l’emozione. Un live che chiude il cerchio e che, in qualche modo, riesce anche a rispondere alla domanda iniziale: dopotutto non serve saper parlare bene, se il tuo mondo così caotico, sofferente e intimo riesci a raccontarlo bene in altri modi.


Con il contributo di Federico Antolini