Era un po’ che desideravo una shitstorm nei miei confronti, lo ammetto. Di quelle che a molti fanno stare male, ma che a me tutto sommato divertono un sacco. Dopo questa doverosa apologia, partiamo con l’unpopular opinion che non vi meritate, ma di cui (secondo me) avevate bisogno. Alla soglia dei trent’anni inizio a maturare la consapevolezza che c’è poco di falso attorno all’espressione “simile attrae suo simile” e che, se qualcuno ascolta i Sigur Rós, probabilmente ama La casa di Jack, David Foster Wallace e i Jacques Marie Mage. È così che cerchiamo la nostra anima gemella o il circoletto di amici, sbaglio? Eppure viviamo nell’epoca dei big data, delle profilazioni di Zuckerberg, del retargeting e tante altre cose noiosissime che tuttavia muovono le economie mondiali. Tutti i grandi investimenti degli ultimi quindici anni, come sappiamo, sono destinati ad inserirci all’interno di grandi scatole. Eppure sembrerebbe così facile, perché – appunto – simile attrae suo simile, come dicevamo, e al massimo ci saranno un centinaio di macro categorie da definire e dare in pasto agli algoritmi. Un lavoretto di massimo dieci giorni, insomma. E allora cos’è che non mi torna? Cos’è che fa saltare il banco? I Måneskin, ad esempio.
È evidente che la sfera di interessi sopracitati non fanno esattamente rima con la loro musica ed i loro personaggi – è anzi quasi certo che chi sta in quella loggia elitaria di ascoltatori/lettori/cinefili di “serie a”, tenda a ripudiare una band tanto mainstream per attitudine, stile sonoro e metodi di promo. Quel che però legittimerebbe i miliardi di dollari spesi da Meta e surrogati, è l’esercitazione della mia onestà intellettuale, e allora ecco la cosiddetta eccezione che conferma la regola. Dirvi ciò che penso fino in fondo di Honey (Are U Coming?) – ossia l’ultimo brano dei Måneskin, è un atto gentile verso me stesso e verso chi legge queste righe, ma soprattutto un’effige di ultima sofisticazione, che risponde al nome di rispetto e trasparenza. È un brano di spessore, c’è poco da fare. Ha un sound più sporco del solito e, personalmente, più Damiano e soci si insozzano di distorsori e saturazioni, più il risultato finale suona alle mie orecchie da vecchio wannabe come autentico. Che poi l’assenza di impurità è ciò che spesso mi ha fatto storcere il naso di fronte ad alcuni loro lavori. Quando si spogliano del glam patinato, del pop senza dinamiche masterizzato per le pubblicità della TIM, e soprattutto quando iniziano a fare il cazzo che vogliono, i Måneskin sono tendenzialmente dei fuoriclasse.
Ho sempre odiato dei Måneskin questo voler essere giusti per ogni contesto e ho stroncato con ogni mia forza sia Il ballo della vita che Teatro d’ira – Vol. I perché sono dischi mediocri, ingiustamente acclamati dalle masse. Cosa c’è di onorevole nell’essere a proprio agio a una cena formale con Re Carlo ma anche in un centro sociale? Ma se parliamo dei Måneskin da Rush! in poi è difficile rompere le palle. Honey (Are U Coming?) infatti non solo è un pezzo che prosegue sulla scia lunga di quelle vibes taglienti che avevo apprezzato nell’ultimo lavoro in studio di inizio 2023, ma è un brano che riesce a mostrarci, quasi fosse uno showcase di tutte le loro velleità, cosa sono e cosa vogliono essere i Måneskin del futuro. Una band più matura che ha scoperto che oltre ai Led Zeppelin (in ogni caso inarrivabili) ci sono anche altre cose più contemporanee, e che c’è ancora un modo interessante di fare rock oggigiorno, come ad esempio quello degli IDLES (da cui prendono a piene mani in Kool Kids). Quali sono dunque gli ingredienti della loro “nuova” musica? Prendendo Honey (Are U Coming?), direi la voce di Damiano, senza dubbio, che alcuni odiano ma che io trovo perfetta per questo genere ultra versatile in cui lo spoken word si può alternare allo screaming senza risultare mai straniante.
C’è poi la miglior chitarra di Thomas Raggi – che stavolta (grazie a Dio) non si prende tutta la scena ma sa stare un passo indietro nel mix. C’è la batteria incessante ma sguaiata ed imperfetta di Ethan, che non vuole essere un metronomo ma uno strumento espressivo e pieno di sfumature (specie quando malmena il charlie). E c’è nel finale il basso violento di Victoria che è si un po’ sborone, certo, ma fa muovere il culo ed il collo anche agli pseudo cultori del ben suonato. Se Damiano la smettesse di postare foto con la maglia della Roma potrei perfino valutare l’idea di inserire questo brano in qualche mia playlist. Possiamo quindi dire che anche un radical chic possa amare il rock dei Måneskin? Risposta: lo possiamo dire.