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All’ultimo piano con Dani Faiv

Dani Faiv ci ha raccontato dalla cima dell’ultimo piano del suo ultimo album. «Non mi manca più niente di ciò che mi ero prefissato all’inizio: sono all’ultimo piano, ed ora?», dice

La classica uggiosa, grigia giornata di Milano ci accoglie all’ultimo piano degli studi Sony. Dani Faiv è a suo agio sul divanetto, un po’ come lo era ai tempi Antonio Di Natale sul manto erboso dello stadio Friuli di Udine. I parallelismi tra le due figure potrebbero essere tanti, dalla nascita nella provincia italiana all’affermazione sotto riflettori importanti, sino all’etichetta scomoda di underdog, sottovalutati. Ma il talento del ligure credo sia fuori discussione, sin dai tempi di Gameboy Color, che sembra una vita fa. Già, perché oggi Dani è diventato padre, e chiude il 2023 con all’attivo ben due progetti ufficiali. Se l’uscita di Teoria del contrario 2 ha gasato la fetta più fedele del suo pubblico, dando seguito al primo capitolo del mixtape che lo ha lanciato nel lontano 2016, Ultimo piano potrebbe allargare ancora di più la sua fanbase. Vuoi per la capacità di scrittura, vuoi per delle produzioni perfettamente in linea col concept, vuoi anche per delle collaborazioni importanti ed inaspettate, gli ingredienti per sorprendere ci sono tutti. 
La chiacchierata con Dani ha il sapore di un bilancio di fine anno, e più in generale della carriera finora.

Come stai?
Sono felice perché ho consegnato tutto, son più rilassato. È stato un anno molto stressante, con due progetti fuori. Mi immedesimo sempre un sacco nei fan, essendolo stato a mia volta, e per dirti, quando Guè se ne esce con due progetti nell’arco di un anno, io sono gasatissimo. Quindi anche quel desiderio, di pubblicare due progetti in un anno, l’ho sempre avuto.

Com’è nato Ultimo piano?
Vivendo in studio sono realmente iper produttivo, ho una marea di progetti e tracce, davvero tante. Per dire, E.T.A. nasce due anni fa, Barca a vela tre anni fa. Sono tutti brani che rimodernizziamo, riarrangiando le strumentali, lavorandoci, sistemando. Ultimo piano nasce dall’esigenza di raccontare come stavo, dalla domanda che mi faccio anche nel disco: “Non mi manca più niente di ciò che mi ero prefissato all’inizio: sono all’ultimo piano, ed ora?”. 


Ci sono stati nella tua carriera dei piani intermedi in cui hai capito che stava cambiando qualcosa?
Ho iniziato a fare rap quando, per sponsorizzarci a vicenda, si utilizzava Facebook, quindi è chiaro che ci sono state tante svolte, tanti cambiamenti. Le treccine, poi il primo disco d’oro, il primo live importante, l’ingresso in Machete e poi l’uscita. Davvero tante cose, sono maturato tantissimo, però ecco, non te ne direi uno o due, sono molti i piani intermedi. E ti dirò, poi comunque l’ultimo piano è sempre una metafora, lì affermo che mi manca sempre qualcosa e posso solo buttarmi, se sono all’ultimo piano. È interpretabile: mi butto nel vuoto e chissà cosa faccio, ma è anche bello buttarsi nella vita, perché se no rimani fermo.

Come hai scelto le collaborazioni del disco?
Punto sempre a collaborare con nuove persone: la base è sicuramente la stima reciproca, devono piacermi e viceversa. In quel caso stiamo in studio, difficilmente lavoriamo a distanza, così creiamo anche un rapporto oltre la musica. Nasce sempre dal brano, su cui magari mi immagino una persona: ad esempio in Barca a vela, pezzo malinconico d’amore, Silent Bob mi sembrava perfettamente calzante. Negli ultimi due anni ha preso questo percorso un po’ più cupo, introspettivo, ha una penna veramente forte, secondo me lui la completa.

E J Balvin?
E.T.A. è nata che a J Balvin è piaciuta. Noi ci sentiamo dai tempi del remix di Yoshi, gliel’ho mandata ed è impazzito. Poi è passato tanto tempo, come ti dicevo è un brano che ha due anni, ma quando mi ha mandato la strofa ho pensato di fare la mossa di cercare un altro peso massimo, come feci ai tempi con Capo Plaza, dando ancora più carica al pezzo. Geolier è uno dei rapper più forti al momento, su un beat così, che ti permette di sfogare il suo talento, chi meglio di lui?

A livello producer invece hai scelto di sperimentare.
La scelta delle strumentali non è mai legata ad un concept unico, non è che dico “faccio il disco swing” e scelgo quindi solo quelle strumentali. Non lo faccio mai, per non annoiarmi, per stimolarmi continuamente voglio sperimentare sempre, quindi vuoi o non vuoi ci sono sempre nel disco alcuni episodi diversi. Già quello ti direziona su alcuni beat. Nei dischi ufficiali mi tengo sempre affianco Strage e Kanesh, come punti di riferimento, e poi chiamo uno o due esterni, che danno il loro contributo su un paio di brani.

C’è qualche opera pop, libro o film, che ti ha influenzato nel concepire questo album?
Sono uno che vive di film, ma stavolta è stata più l’analisi con me stesso, il pormi tante domande, sono arrivato al punto di stare bene, il fatto che non mi manchi nulla. Il concept è nato da lì, in maniera naturale, quando poi una cosa è vera si scrive da sola. Libri ne leggo pochi, quando mi metto a letto la sera preferisco un buon film rispetto ad un libro.

Sei soddisfatto del trailer finale che ha anticipato il disco?
Moltissimo, ho avuto un team assurdo affianco, i ragazzi di The Hills, che da Teoria del contrario 2 hanno compreso il mio modo di lavorare, la vision che c’era dietro i singoli progetti, ed in questo mi hanno anche dato di più di quello che avrei potuto pensare. 
Il trailer vede me entrare in questa villa su più piani, all’interno di essa sono contenuti vari easter egg sui featuring del disco. Il tutto accompagnato da un mio skit parlato, con la voce fuori campo, alternato da scene confuse di me nel buio di una foresta, rappresentanti il dualismo luce/buio che c’è in ognuno di noi, questo gioco di contrasti, che è un po’ il concept visivo del disco intero. Arrivando poi all’ultimo piano in cui non sai cosa c’è dietro la porta.

Da amante del rap mi piace molto lo skit, anche in Scusate se esistiamo ne avevi inserito uno realizzato da Filippo Giardina.
Amo mantenere questa attitudine rap nei miei dischi, anche questo fa molto cinema, quando ascolti il disco vieni trasportato all’interno di esso non solo dai brani, ma anche da una voce coinvolgente.

Limmagine di copertina cristallizza alla perfezione il momento dell’arrivo all’ultimo piano.
Lo esprime al meglio: posso solo buttarmi dall’ultimo piano, senza sapere cosa mi attende sotto, i palazzi, il cielo. Non posso più salire, il cielo è troppo lontano, dopo un po’ puoi solo riscendere. Sicuramente è un trip visivo, volutamente fatto coi colori sfumati. L’ha realizzata Lunamoon, un ragazzo talentuosissimo e giovane, che lavora col 3D, aiutato da Eenreeco, il mio grafico di sempre: ho voluto prendere lui perché serviva qualcosa che andasse un po’ oltre gli schemi della solita grafica, si sono entrambi presi bene dal concept e lo abbiamo lavorato.

A che punto della carriera ti senti?
Mi sento sempre all’inizio, voglio sempre pensarla così, mi motivo. Poi chiaro, mi sento appagato, ho le giuste conferme, dopo tanti sacrifici, ma ne cerco sempre ancora, è giusto allargare il pubblico e far capire la tua musica sempre a più persone. Ma ritengo anche di aver avuto i giusti riconoscimenti, non lo nego.