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I Depeche Mode si piegano ma non si spezzano

Se è vero che Dave Gahan e Martin Gore portano su di loro tutti i segni del tempo che è passato impietoso, il loro fascino e carisma resta ineguagliabile, oggi come quarant’anni fa

Sono davvero in difficoltà nel cercare di raccontare il concerto dei Depeche Mode. La difficoltà nasce da una serie di motivi. Prima di tutto, i Depeche Mode sono veri e propri giganti della storia della new wave degli ultimi quarant’anni. Il secondo è che difficilmente sbagliano qualcosa, anzi, a memoria non ricordo che loro abbiano mai fatto dei passi falsi, e poi sono talmente semplici nel loro esibirsi che rasentano quasi la perfezione. Com’è quindi il concerto torinese, prima data italiana della leg indoor? Ovviamente sold out, ma un sold out di quelli veri, dove la gente sbuca da ogni millimetro dell’arena, e se è vero che Dave Gahan e Martin Gore portano su di loro tutti i segni del tempo che è passato impietoso, il loro fascino e carisma resta ineguagliabile, oggi come quarant’anni fa.

Giacca bianca, stivaletti bianchi a punta con leggero tacco incorporato per Gahan, collana di perle su una giacca smanicata piuttosto evidente per Gore: signore e signori, ecco a voi i Depeche Mode. Oltre due ore di show, un viaggio attraverso l’epica dell’electro rock anni Ottanta, nonostante un Dave che, soprattutto nella parte iniziale del live, mostra qualche lieve increspatura alla voce. Ma neanche questo riesce ad oscurare la grandezza dello show, un’ode emozionante che percorre quattro decenni di gloriosa carriera. My Cosmos Is Mine (“Don’t play with my world/Don’t mess with my mind/Don’t question my space-time/My cosmos is mine”, canta), estratta dal loro ultimo lavoro in studio nato durante la pandemia e, per forza di cosa, direttamente ispirato a quel tragico periodo, prepara il terreno a brani iconici come Policy of Truth, In Your Room, I Feel You e Everything Counts, un inno che infiamma il palazzetto, trasportando i tredicimila agli albori della loro epica saga, risalente al terzo disco Construction Time Again del 1983.

Non manca il saluto all’amico e collega di palco Andy Fletcher, membro fondatore della band scomparso due anni fa, a cui viene dedicata Behind the Wheel (uno tra i brani cardine di Music for the Masses) e che anticipa Black Celebration, Stripped e l’immancabile Enjoy the Silence. Non manca neppure il coro «happy birthday» intonato dal palco per una fortunata spettatrice in transenna. Ancora una volta i Depeche Mode dimostrato di essere maestri nell’arte dell’elevare la musica al di là della necessità di effetti spettacolari, facendo leva sulla loro pura genialità musicale e sulla loro presenza magnetica. L’uscita dal palazzetto, dopo un finale composto da Just Can’t Get Enough, Never Let Me Down Again e Personal Jesus, è accompagnata da una consapevolezza profonda: se “memento mori” può essere un monito per il resto di noi mortali, per i Depeche Mode, l’immortalità della loro musica è un fatto innegabile.