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Sconfiggere la timidezza con La Municipàl

Nei testi di “Dopo tutto questo tempo” La Municipàl ha tirato fuori troppo di sé, per necessità, e ora i complimenti lo imbarazzano, come biasimarlo

Io e Carmine condividiamo tre cose: il sud, un certo fetish per i sintetizzatori e la timidezza. Ed entrambi ci mostriamo nudi al mondo per combatterla, questa timidezza. Io e La Municipàl, invece, non condividiamo proprio un bel nulla, se non qualche pensiero sul sesso tra ex, ma ne parleremo più in là. Non condividiamo nulla perché io di musica bella e sincera non ne ho mai fatta, La Municipàl sì. Ed è proprio questa la chiave che ci apre le porte di questo progetto: la sincerità. Di menate sull’esigenza artistica ne abbiamo già sentite troppe, ma Carmine ne parla in maniera diversa. Lui ne parla quasi di nascosto, quasi come se fosse una confessione. Sì, perché nei testi di Dopo tutto questo tempo ha tirato fuori troppo di sé, per necessità, e ora i complimenti lo imbarazzano, come biasimarlo.

Ti piace il periodo che sussegue l’uscita di un album?
Quando esce un album sono sempre un po’ preso male, non amo ricevere complimenti per una questione caratteriale. Soprattutto per quanto riguarda ‘Dopo tutto questo tempo’. È un album molto intimo, in cui ho sputtanato molto di personale, il post uscita mi ha dato emozioni molto contrastanti. Sto consegnando agli occhi degli altri la mia sfera più intima e non è semplice.

Cosa è cambiato in Carmine e ne La Municipàl Dopo tutto questo tempo?
Sono cambiate molte cose, anche a livello personale. Ho lavorato su altri progetti, come Mundial, un’altra band con cui facciamo elettronica tribale. Questo mi ha sbloccato umanamente, lavorando su BPM più veloci e tribali, il mio cervello si è rimodulato. Questo ha ridotto le mie ansie e paure, liberando lo spazio per le canzoni de La Municipàl. La mia assenza mentale sul progetto ha permesso ai brani di arrivare in modo giusto. Quindi l’album suona così urgente proprio per questo processo. Mi sento davvero molto cambiato dall’ultimo lavoro, è come se avessi recuperato dieci anni di giovinezza.

Hai viaggiato molto in questo periodo?
Sì, abbiamo avuto la fortuna di suonare all’estero in Svizzera, Albania, Francia, Londra. Personalmente, ho viaggiato anche nei momenti di pausa, visitando piccoli paesi in Italia. Mi piace conoscere posti nuovi e persone diverse. Mi affascina molto girare nelle province sperdute dell’Italia.

Quindi ti piace la vita del tour?
Assolutamente sì, anche se alcuni artisti trovano il tour stressante. Per me, è una fortuna. Ad esempio, con Mundial facciamo molte date, anche in posti piccoli. Il tour è il modo migliore per portare la tua musica in giro ed esserne gratificato.

Condividiamo entrambi origini meridionali, e io con le mie ho avuto un rapporto un po’ complicato. Come lo vivi tu questo rapporto e come influenza la tua musica?
Fino a una certa età ho quasi rifiutato le mie origini, anche a causa del fenomeno della musica popolare in Salento, che valutavo in maniera negativa. Non apprezzavo affatto la musica popolare, perché ero attratto da ciò che ci veniva mostrato da fuori, come il rock internazionale. Crescendo, ho capito che tutte quelle cose fighe e alternative erano comunque decise da qualcuno in un ufficio a Londra o New York. Quindi la fase di rottura con le mie origini si è placata. Ho iniziato a studiare i natali della mia terra e mi sono avvicinato alla world music. Ora mi affascina molto perché è il suono più vicino alla cultura di un posto. Suonare nei festival di world music mi ha permesso di entrare in contatto con diversi suoni del mondo. La musica è talmente ampia che c’è un universo enorme oltre la forma della canzone tipica italiana. Ora come ora c’è molto della mia terra nelle mie canzoni, ho raggiunto un livello di maturità tale da poter capire l’importanza di questa cosa, infatti ho scelto di rimanere qui, in Salento. È una specie di battaglia personale.

Cosa ha ispirato questo album?
Tutto e niente. Non ho fatto nessun ragionamento su quest’album. Ero partito dall’idea di un disco e avevo già una tracklist di canzoni, ma le ho cestinate quasi tutte. Mi sono accorto che quei pezzi mi rappresentavano, ma non dicevano nulla di potente per me. Ho preferito avere proprio degli schiaffi, cioè aspettare che i brani arrivassero da esperienze personali forti. Quello che accomuna tutti i brani è proprio questo fattore: l’urgenza e il fatto che siano arrivati nel momento giusto. Approcciandomi alla scrittura dell’album ho cambiato la mia visione, anche a livello di sound, mi sono lasciato influenzare dalle persone con cui collaboro, mi sono aperto a nuovi stimoli.

Che sensazioni ti dà Dopo tutto questo tempo?
Denso e sporco, ma anche un po’ clandestino. Ho tirato fuori cose molto personali e ho cercato di non auto-censurarmi, perché avrei snaturato l’essenza del disco. Quando un brano mi arriva lo percepisco in maniera quasi religiosa, devo lasciarlo intatto, seppur sporco o scomodo che sia.

Mi affascina molto il processo creativo che porta alla scrittura di un album come questo, mi parli del tuo?
L’idea di una canzone mi arriva spesso come un suono o un concetto, che registro sul cellulare, musica e parole insieme. Molto spesso arriva dopo una storia personale molto forte. Poi passo alla fase produttiva, lavorando sulla struttura, questa è una fase che mi dà tantissima linfa creativa. Oltre al testo, infatti, e alle storie personali che lo ispirano, quello che mi influenza di più nella costruzione di un brano o un album è la fase di produzione e di scelta del suono. Mi capita spesso di rimanere affascinato da un plugin o un sintetizzatore in particolare e di costruirci attorno un brano.

Proprio a proposito del suono, ho apprezzato molto la dimensione elettronica di questo album. Quali sono i tuoi synth/plugin preferiti?
Suonando con gli altri progetti che porto avanti ho sperimentato tutta una serie di suoni che deriva da un tipo di elettronica più spinta e questo mi ha influenzato molto. Ho utilizzato molto il Nord, il Matriarch della Moog, ho una Korg Cross 61 da battaglia che porto sempre in giro con me. Un plugin che mi ha ispirato tanto è Le Gibet della Teletone, che ha dei suoni molto cinematografici. Mi ricordo di aver sentito la sua pubblicità in giro su Internet, era un trailer molto cinematografico, ed è stato amore a prima vista. Il suono etereo e saturo mi restituisce molta creatività nella fase di produzione e nell’album lo si avverte.

Quanto di virtuale e di analogico c’è in Dopo tutto questo tempo?
Possiamo dire un cinquanta e cinquanta. Sul suono synth c’è molto di virtuale, ho lavorato con alcuni plugin che mi hanno dato belle soddisfazioni. Mentre per quanto riguarda batterie e chitarre sono molto attento a curarne il suono analogico. Sono un fan di amplificazione e quant’altro, quindi cerco di curare in maniera maniacale la fedeltà del suono e l’autenticità. Questo deriva dal fatto che cerco di suonare più che posso, di fare jam con i musicisti. Ritengo che sia importantissimo rimanere in studio e suonare, suonare, suonare. C’è questa tendenza ad abbandonare un po’ questa dimensione dopo una certa età, per impegni o chissà per quali altri motivi, ma per me la sala prove è fondamentale.

Forse questo è il prezzo da pagare per il passaggio al virtuale, alla produzione fatta al computer, pensi che sia una questione generazionale?
Forse sì, il passaggio alle produzioni virtuali su pc ha sicuramente accelerato questa transizione dalla sala prove al “tutto, subito e veloce”. Questo mi rattrista, suonare con altre persone, passare le ore a fare pratica e influenzarsi a vicenda è una botta di creatività senza eguali. Viene meno tutta quella fase di approccio agli strumenti che rende i brani o gli album autentici, veri. Dovremmo tornare a suonare insieme e a insegnarlo a chi magari non conosce questa dimensione.

Suonare in studio è fondamentale per te, il live invece? Odi davvero cantare come ci hai detto in Dopo tutto questo tempo?
Dipende dai progetti. In generale, davvero, la cosa che odio di più è cantare davanti agli altri, stare al centro dell’attenzione, le luci. Sono tutte cose che mi fanno stare male, ma devo affrontarle. Il live è l’unico modo che un artista come me ha per promuovere la propria musica, ho dovuto imparare a convivere con le mie ansie pur di far ascoltare i miei pezzi. La paranoia in questo caso mi stimola, genera creatività, questo controsenso mi tiene vivo e mi spinge ad andare avanti. Su questo mi sono lasciato influenzare anche dalla mia terra, dal Salento, e dalla scuola live storica che magari in altri posti è venuta meno.

Siamo ai saluti. Sesso tra ex, che è anche un brano dell’album, pro o contro?
Sesso sempre, fa comunque bene, nel male, che fai a te e all’altra persona. Io non sono mai per le chiusure definitive. L’essere umano è di per sé tormentato e non bisogna mai negarlo questo tormento, ma cercarlo. La perfezione e la visione angelica dell’amore che immaginiamo nella nostra testa, che ci viene inculcata, sono tutte puttanate. Siamo tutti marci, non c’è nessuno che si salva. Siamo tutti peccatori e il sesso tra ex non fa altro che ricordarcelo, quindi, perché no?