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Calcutta successo di: la notte di Latina

Sono passate poco più di ventiquattro ore dal concertone di Edoardo D’Erme al Francioni di Latina ed è già tempo di parlare di palazzetti in inverno. Ma andiamo con ordine: nel caldo rovente del pomeriggio pontino la prima a scendere in campo è Mèsa, giovane cantautrice che, oltre al proprio repertorio, delizia il pubblico con una cover per palati sopraffini (Shaped Heart Box dei Nirvana). Arriva Francesco De Leo. L’ex Officina della Camomilla si esibisce trasversalmente, eseguendo sia i classici del gruppo che lo ha reso famoso, sia il nuovo ed interessantissimo progetto da solista dal titolo La malanoche. Poi salta una corda della sua chitarra (anzi di Giorgio Poi) ma lui ci ride su e fa bene (anche perché ogni artista esibitosi di lì in avanti, avrà il suo cartoncino degli imprevisti da pescare).

Sale sul palco Frah Quintale e succede l’inimmaginabile. Lui quel palco se lo mangia con rime, barre di rappato e a suon di sì, ah che esplica tutta l’eccitazione di un pubblico stregato. Entra anche Giorgio Poi che ormai è una sorta di amuleto porta fortuna per gli artisti. Vorrebbe lanciare dei Missili ma come le più celebri missioni interspaziali c’è bisogno di un paio di falsi allarmi. La base si blocca due o tre volte ma alla fine il pezzo estivo parte. È il momento dei giochini e con l’autotune Frah intona (si fa per dire) Sciroppo di Sfera Ebbasta a testimonianza dello stato di agio in cui si esibisce. È un tripudio di braccia e voci che per un attimo spostano l’attenzione dal piatto forte che sta per essere servito.

Un vecchio sistema operativo sul maxischermo carica il file exe del concerto. Entrano quattro muse, ognuna con una lettera nera sulla t-shirt, si mettono in fila e si compone la scritta CORO, poi una carrellata ricorrente di mini spot di Acquaparda, il fake brand di Pierluigi Pardo. Ecco sprigionarsi tutto il trash esilarante di Calcutta. “Ti ricordi? / Andavamo a passeggiare nei ricordi”, ecco l’esordio di Edoardo. Arrivano una dietro l’altra due hit di Evergreen (Kiwi e Orgasmo) e si iniziano a percepire i visual che accompagneranno il pubblico attraverso il viaggio. Ma Calcutta vuole testare il suo seguito e propone due pezzi (probabilmente i più belli) di Forse, l’album che anticipa l’esplosione mediatica del cantautore: si tratta di Cane e Fari, ma la ciurma dell’indie risponde presente.

Ovviamente, non ci sarebbe bisogno neanche di dirlo, i pezzi che più incendiano il cuore pulsante del Francioni sono quelli di Mainstream. E chissà quanti ragazzi provenienti da Milano c’erano in mezzo alla folla quando Edoardo ha intonato il suo liberatorio “io non ci riesco più” nella canzone dedicata al capoluogo lombardo. È il tempo di rilassarsi con una Limonata corretta con due Tachipirine da cinquecento. Paracetamolo è il momento musicale più alto del concerto che, è doveroso dirlo, non è certo una esibizione virtuosistica.

Non aspettavamo certo un concerto dei Jetro Tull ma sinceramente dagli arrangiamenti ci si poteva attendere qualcosina in più. Ma a riempire ci pensano gli oltre quidicimila presenti che, su timido input del pontino, dicono ciao alla nonna di Edoardo, che abita a pochi passi dallo stadio e che probabilmente sta guardando un programma Rai (come il titolo di un suo nuovo brano, che viene suonata per darle la buona notte visto che giunge il momento dei brani più hard del repertorio).

Torna sul palco solo con una chitarra e suona Saliva, uno dei pezzi di caratura più alta di Evergreen. Poi Amarena, Nuda nudissima e Cosa mi manchi a fare, il pezzo più mainstream di Mainstream. La sensazione durante tutta la serata è che più che una esaltazione di Calcutta, si tratti di un tributo ad un genere che sì, ora possiamo dirlo, nasce nei pub e morirà (?) negli stadi. Ecco perché non può mancare quel Tommaso Paradiso che non l’ha ucciso come qualcuno crede, ma ha iniziato questo processo di crescita del genere lo scorso anno portandolo allo step due: i grandi palazzetti. Oggi è lì a compartecipare alla celebrazione dello step tre, sulle note di Oroscopo. Il Francioni esplode letteralmente. Si muove più lui in una manciata di secondi di quanto non abbia fatto Calcutta fin lì. Regala il suo berretto a un(a) fan e si congeda.

Del Verde fa scendere le lacrime, soprattutto ad un ragazzo di nome Mattia che trova in Calcutta le parole giuste per farsi dire il più importante della sua vita. Albero suggella il momento magico. Al basso il vecchio musicista di Edoardo. Ora la nonna è andata a dormire per cui può essere eseguita anche l’erotica Arbre magique. Segue Hübner e chissà che qualche parente di Dario non sia proprio tra le onde di quella marea rossa (la sciarpata con il cadeau dell’evento è suggestiva ma sembra di stare alla festa de Il Manifesto). Le barche chitarra e voce viene interrotta perché la chitarra è troppo bassa ma è il bello della diretta. Poi sullo schermo l’interfaccia dell’iPhone: sta chiamando Gaetano e chissà che quel piccolo numero comparso sul led durante la serata non sia proprio un easter egg contenente il contatto dell’amico.

Arriva il momento calcistico-campanilista. Edoardo sfoggia una sciarpa del suo Latina e durante il brano Frosinone sostituisce la frase “e il Frosinone in Serie A” con “e chi non salta è gialloblù”.
Ormai ci ha preso gusto e non vorrebbe più tornare a casa perciò “esco o non esco?”. Viene eseguita una lunga versione di Pesto che il pubblico canta a squarciagola. Sembra assurdo ma quel deficiente è diventato il patrono di Latina e forse del nuovo cantautorato indipendente italiano. È una grande festa e gli invitati non vogliono proprio andarsene. Latina e provincia sono un enorme parterre, per tutta la notte si canta e si balla per vivere fino in fondo anche le briciole di una data che resterà indelebile nella mente di tutti.