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Thegiornalisti, dall’inferno a Paradiso

Anno 2011. Thegiornalisti non è un nome bello, neanche un po’, quel Tommaso Paradiso sembra uscito dalla DeLorean di Doc, dentro Ritorno al futuro, con i baffi di John Holmes. Troppo anacronistico per funzionare. Nel frattempo un gruppo di sfigati inizia ad accostarsi ad un gruppo, I Cani, dove l’unico membro si presenta sul palco con una busta del pane in testa. Quel pugno di scemi senza muscoli diventa una comitiva, poi un circolo, poi una tribù, perché “in due è amore, in tre è una festa” diceva qualcuno. Infine esplode il fenomeno indie (più tardi rettificato in itpop) e gli sfigati diventano quelli che non conoscono a memoria I pariolini di diciott’anni, La fine dell’estate e Cosa mi manchi a fare.

Quel pop alternativo raggiunge le masse (e le mamme mi verrebbe da dire) e no, non c’è nulla di male. I baffi alla John Holmes lasciano il posta alla viking beard, i cappottoni color cammello alle tutone dell’Adidas e no, di nuovo, non c’è proprio nulla di male. E arrivano i sold out ovunque e addirittura un Circo Massimo prenotato per il prossimo settembre. C’è chi si sente tradito, chi è infastidito dalle Instagram Stories, chi non accetta Riccione e Felicità puttana, chi più democraticamente dopo un paio di Beck’s si guarda con gli amici a una festa i video de Le Coliche dove Ponente, Coez e Calcutta dicono a Tommaso che ha ucciso l’indie. Ce n’è di tanti tipi, ma alla fine, clandestinamente, quando uno di loro su Spotify sente un pezzo dei Thegiornalisti un po’ sorride, ma non a sbeffeggiare. Quando si è testimoni di una storia di successo, del coronamento di un sogno, è sempre bello.

Quando la gente sente la parola resilienza pensa a quell’eterno Peter Pan tutto muscoli e inchiostro di Gianluca Vacchi, io invece penso a Tommaso Paradiso, uno che a trent’anni suonati ha azzittito la noiosa vocina che gli intimava di diventare grande e smetterla di sognare. E invece lui si è rimesso sotto le coperte e ha continuato a farlo. E cazzo! Che gran sogno è uscito fuori.