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Nick Cave gioca un campionato a sé, da sempre

Partiamo dalle considerazioni scontate: il nuovo album dei Nick Cave & The Bad Seeds (Ghosteen), presentato come l’atto conclusivo di una trilogia iniziata con Push The Sky Away e Skeleton Tree, è un capolavoro. Del resto il gruppo australiano gioca un campionato a sé. Da sempre. La prima parte del disco (che Cave ha definito “i figli” mentre la seconda rappresenta “i genitori”) è onirica, sognante, pregna di stupore per la bellezza del mondo e di empatia. Un viaggio spirituale che viene introdotto da Spinning Song, un brano che fin dalla prima nota – e dal tripudio di synth – guida l’ascoltatore nel mood generale dell’intero album. La voce di Nick Cave è profonda e canta della vita di un fantomatico king of rock & roll, chiudendo la canzone con una frase (“Peace will come / A peace will come / A peace will come in time”) che apre il cerchio di Ghosteen.

Bright Horses è invece una ballad piano e voce che racconta la struggente rinuncia ai sogni e alle illusioni che addolciscono l’esistenza umana. Nick Cave, nonostante la sua età, ha una voce limpida, potente, che raggiunge note alte che raramente gli abbiamo sentito tentare agli esordi. Waiting For You ruota ancora tutta intorno alla voce del cantautore, accompagnata da un piano dolce e da leggerissimi synth, riprendendo temi cari a Cave: Gesù, la fede, il corpo e l’amore. L’album prosegue su questa linea di testi meravigliosi, incentrati su tutto ciò che concerne l’essere umano e basi lente, sognanti, armonizzazioni che creano build up e fanno gonfiare la musica e l’emozione fino ai climax di ritornelli epici. La batteria è praticamente inesistente, sostituita da suoni più morbidi e artificiali, quasi a contrapporsi ai testi estremamente umani e terreni.

Sun forest è uno dei punti più alti dell’album; un pezzo che scava nella fede e nella disillusione di chi è stato lasciato al mondo con la speranza di una vita migliore. Poi c’è la lunghissima Hollywood (più di quattordici minuti), una perfetta conclusione che esplora il dolore e la bellezza della vita: è una canzone visiva che passa dal mondano al mistico, è il racconto del dolore universale (“Everybody is losing someone”, canta Cave) e della ricerca spasmodica di una pace che prima o poi arriverà. Certo, va detto che Ghosteen, come la maggior parte delle produzioni della band australiana, non è facile da digerire. Ma d’altronde, this is Nick Cave.

Siamo di fronte ai testi più belli che la penna di Nick Cave abbia mai partorito che raggiungo apici di poesia che è sempre più raro trovare nella musica contemporanea. La band australiana ha abbandonato le chitarre e la batteria per immergersi in un mondo a tratti ambient, a tratti dream pop, pieno di synth e pianoforti perfetti per accentuare l’emozione che scaturisce dai testi. Immergendosi nelle tracce diventa chiaro il senso di conclusione che il cantautore ha cercato di trasmettere, come fosse il racconto di una resa: la fine della lotta e l’attesa della pace, qualunque forma essa abbia. Ghosteen è un album senza difetti, (complesso sì, ma perfetto) e sarà difficile, da questo momento in poi, creare qualcosa di superiore.