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Con “Gigaton” i Pearl Jam sono tornati a galla

In un periodo storico in cui tutto sembra essere stato messo in pausa, cristallizzato in una quarantena asettica, la musica trova il modo di andare avanti. E i Pearl Jam lo fanno con Gigaton (qui sotto il track by track), il nuovo album d’inediti che si pone come un vero e proprio pugno nello stomaco, nonché un ancora di salvezza di questi tempi. La band di Seattle – che ha influenzato moltissimo la produzione musicale degli ultimi venticinque anni – da tempo ha cercato con la propria musica di cambiare costantemente, reinventandosi album dopo album e scoprendo nuove strade da percorrere. Sette anni fa con Lightning Bolt avevano deluso gran parte dei fan, ma oggi tornano con un lavoro fresco, innovativo, caratterizzato dalla presenza di un nuovo produttore, Josh Evans, che riesce nell’arduo compito di mescolare perfettamente l’anima rock della band, con una serie di ballad e canzoni estremamente alternative che vanno a posizionarsi come vere chicche all’interno della lunga discografia della band di Vedder. Gigaton risulta un album genuino ed evocativo; un vero e proprio inno alla vita e un incitamento a non mollare. Insomma, Eddie Vedder e soci rilasciano al momento giusto un prodotto che sono certo servirà a tanti come spinta per rialzarsi e andare avanti, confermandosi ancora una volta come una delle migliori rock band in circolazione.

WHO EVER SAID

Il brano che apre Gigaton è una classica canzone “alla Pearl Jam”, caratterizzata da sovraincisioni di chitarre elettriche, la voce di Eddie Vedder al top (“Swallow my pencil and bleed out my pen/Surrender the wish we’ll be together again/But I won’t give up on satisfaction”), un’interessante sezione melodica e un testo carico di speranza e rinascita.

SUPERBLOOD WOLFMOON

Superblood Wolfmoon è uno di quei pezzi da stadio, da intonare tutti in coro, soprattutto nel ritornello (“I can hear you singin’ in the distance/I can see you when I close my eyes/Once, you were somewhere and now you’re everywhere/I’m feeling selfish and I want what’s right”). Un brano euforico, grintoso e sempre in crescendo. Da elogiare il super assolo in tapping di Mike McCready alla Eddie Van Halen.

DANCE OF THE CLAIRVOYANTS

Come si capisce fin dal titolo siamo di fronte ad un brano davvero particolare, che ricorda veramente la magia e la chiaroveggenza, grazie al cantato a tratti furioso di Vedder. Una perla rara che sembra un palese richiamo ai Talking Heads di David Byrne.

QUICK ESCAPE

La linea di basso ipnotica e la chitarra acida ricordano il volo di un calabrone impazzito. In Quick Escape Eddie Vedder narra la storia di un Pianeta devastato – “The lengths we had to go to then/To find a place Trump hadn’t fucked up yet” – che termina con l’intera umanità che prende un volo di sola andata verso Marte, dove può finalmente ricominciare una nuova vita. Sono chiari i riferimenti nel testo a Kashmir dei Led Zeppelin (“Cross the border to Morocco/Kashmir then to Marrakech”) e ai Queen di Freddie Mercury (“First we took an aeroplane, then a boat to Zanzibar/Queen cranking on the blaster/And Mercury did rise/Come along where all we belonged/You were yours and I was mine/ Had to Quick escape”)

ALRIGHT

Dopo un inizio rock, per la prima volta Gigaton si calma, con una ballad scritta da Jeff Ament che risulta estremamente intimista, soprattutto nella melodia. Forse non un brano all’altezza del disco, ma necessario per un’analisi più introspettiva delle tematiche di rinascita e resistenza.

SEVEN O’CLOCK

Con Seven O’Clock si prosegue su toni più tranquilli, ma in modo superiore rispetto a Alright. Il ritornello (“Floodlight dream go drifting past/All the lives we could’ve head/Distant loves floating above/Close these eyes, they’ve seen enough”) ricorda vagamente la bellissima Ordinary World dei Duran Duran. Il finale è un crescendo quasi gospel con la voce di Vedder che la fa da padrona.

NEVER DESTINATION

Si ritorna al rock & roll con un pezzo dalle sonorità tipiche dei Pearl Jam. Nella parte centrale del brano il cantato di Vedder è teatrale e arrogante. Un vero gioiello.

TAKE THE LONG WAY

Senza interruzioni questa traccia di Matt Cameron si collega perfettamente alla precedente per carica e potenza (“I’ll break through these feelings/I’ll break through the ceiling”). Un punk nevrotico condito da assoli di chitarra e un susseguirsi di cori soprattutto nel finale.

BUCKLE UP

I Pearl Jam osano (forse un po’ troppo) con questa canzone scritta interamente da Stone Gossard. Un arpeggio ripetuto che rende questa ballad una sorta di filastrocca grazie alla voce calda e profonda di Vedder. Un esperimento non entusiasmante, forse il punto più basso di Gigaton.

COMES THEN GOES

Gli ultimi tre brani sono scritti interamente da Eddie Vedder. Il primo, Comes Then Goes, è un pezzo interamente voce e chitarra acustica che incarna perfettamente il Vedder solista, dato che ricorda molto i suoi pezzi composti per la colonna sonora di Into The Wild. Senza alcun dubbio il miglior pezzo ballad del disco.

RETROGRADE

Legandosi al brano precedente, un’altra ballad, stavolta ritmata e più potente nel cantato. Ricorda fin dalle prime battute quel capolavoro intitolato Sirens e contenuto in Lightning Bolt. Il finale è tutto un crescendo con la band in stile Release del primo Ten.

RIVER CROSS

Il gran finale di Gigaton è un altro brano delicato, caratterizzato dall’organo elettrico suonato da Vedder, che in modo emozionante sembra recitare un’intensa preghiera per tutti coloro che stanno soffrendo al mondo di questi tempi (“Folded over, forced in a chokehold/Outnumbered and held down/An all this talk of rapture/Look around at the promise now, here and now”).