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Bruce Springsteen, “Letter To You” e l’eterna forza del rock

Bruce Springsteen è tornato. E quando mai se ne era andato via, direte voi. Vero, ma oggi basta ascoltare Letter To You ed il senso del ritorno è percepibile come non mai. È il ritorno della Band, il ritorno delle canzoni nate spontaneamente da un’amicizia antica e coltivata con la saggezza che caratterizza i migliori, è il ritorno di un suono, quello della E Street Band, come non lo sentivamo da ormai molti (molti) dischi. È il ritorno della composizione quasi estemporanea e della registrazione “al volo”, che si sente ed innamora per spontaneità, forza, verità e sincerità. E il disco, diciamolo, è bellissimo. È tutto quello che possiamo chiedere oggi al Boss, ed anche qualcosina in più. Certo, non è la gemma rara ed unica che è stata Western Stars, atto isolato in una discografia grandiosa e pezzo da novanta inaspettato quanto indimenticabile, ma è comunque un distillato di puro Springsteen, dove c’è quello che Bruce sa fare meglio di chiunque, perché da sempre lo fa meglio di chiunque. È la gioia e l’immortalità del rock, che è la cifra stilistica della nostra generazione cresciuta a pane e Novecento.

One Minute You’re Here

Siamo di fronte ad una ballad a metà tra The Ghost of Tom Joad e Western Stars che crea l’illusione di un ritornello bellissimo (“Baby baby baby I’m so alone/Baby baby baby I’m coming home”) che tale alla fine non è, dal momento che – misteriosamente ed originalmente – non viene più ripetuto. Molto bella.

Letter Yo You

È stato il primo singolo estratto dal disco: un brano energico e molto piacevole che evidenzia una scrittura alla Western Stars su un’interpretazione strumentale alla Rising.

BurninTrain

Burnin’ Train vive in un ambiente da Western Stars e sembra un seguito di Long Walk Hom. Canzone molto bella, immediata e forte.

Janey Needs A Shooter

Janey Needs A Shooter parte con un hammond che clona la buonanima di Danny Federici. Ricorda molto Darkness On The Edge of Town ed è un viaggio nel tempo nel Bruce Springsteen degli anni d’oro. Anche il solo di armonica è assolutamente da anni d’oro. Si tratta di una delle tre vecchie canzoni, risuonate e reinterpretate, presenti nell’album. E si sente, senza alcuna sensazione di inadeguatezza al quadro d’insieme, anzi.

Last Man Standing

Last Man Standing è ispirata alla sua prima band della quale lui è ormai l’unico superstite. È una ballad classica, bella, che parte tranquilla ma acquista energia ed arriva ad un bel solo di sax in puro “stile zio”.

The Power Of Prayer

Un pezzo rock che sembra provenire dal periodo Magic/Working On A Dream. Orecchiabile ma non particolarmente rimarcabile. In questo brano, come nella precedente Last Man Stading, Jake Clemons “fa il verso” allo zio Clarence come mai aveva fatto in studio prima d’ora, e possiamo dire (non avendogli lesinato critiche in passato) che qui la cosa funziona, e pure bene. Il lirismo epico di Clarence, comunque inavvicinabile, è imitato con stile apprezzabile e con indiscutibile efficacia.

House Of A Thousand Guitars

È un pezzo pianistico e melodico dove il piano la fa da padrone. Il brano più debole dell’album.

Rainmaker

Come One Minute You’re Here, anche Rainmaker ci riporta a The Ghost of Tom Joad e Western Stars, con una slide guitar piacevole e non invasiva, fino all’esplosione di un ritornello decisamente epico con richiami a The Rising (“Rainmaker, a little faith for hire/Rainmaker, the house is on fire/Rainmaker, take evеrything you have/Sometimes folks need to bеlieve in something so bad, so bad, so bad/They’ll hire a rainmaker”).

If I Was The Priest

“If Jesus was a sheriff and I was the priest/If my lady was an heiress and my Mama was a thief”. If I Was The Priest, scritto da Springsteen negli anni Settanta, è un brano minore che comunque resta tale, ma assai piacevole, come un viaggio nel tempo o un bell’omaggio a quello che questi ragazzi erano, e che ancora sono.

Ghost

Brano molto da stadio, autocelebrativo e un pelino ruffiano, ma sicuramente di grande fattura ed evidente energia. La band fa il suo lavoro e l’interpretazione del Boss è, come del resto sempre, impeccabile. Il ritornello si fa amare sia per l’epica del crescendo che per una soluzione armonica interessante e non così canonica. Ed è proprio nell’epica che sta la forza e la (minima) debolezza del pezzo. Ghost è infatti un brano troppo costruito, smascheratamente occhieggiante ai fans duri e puri, troppo autocelebrativo nella costruzione (ultracorretta e giustificata, ci mancherebbe) del proprio mito.

Songs For Orphans

“The multitude assembled/And tried to make the noise/The black blind poet generals”, canta Springsteen nel primo verso. Anche qui si sente la scrittura “antica” del Boss: non c’è un particolare arrangiamento e la band accompagna una ballata che ha il sapore, ormai, della musica classica.

I’ll See You in My Dreams

È una ballatona aperta e solare che richiama le atmosfere di alcuni brani di Magic e di Western Stars. Chiusura perfetta.

Letter To You vola via che è un piacere lasciando il retrogusto meraviglioso di un qualcosa che è tornato ma che in fondo è sempre stato lì. Un disco che è una conferma di quello che il rock è stato e sa essere ancora. Una conferma di un qualcosa che siamo, nel nostro piccolo, anche tutti noi.