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Yungblud con “Weird” sta sfidando i giganti del pop?

Ho scoperto che i pirati mettevano la benda sull’occhio per abituare la vista all’oscurità. Ora non so se questa sorta di eterno ritorno nietzschiano del punk possa essere paragonato ad un attacco nel Pacifico da parte di un galeone pirata ai danni di un mercantile, quel che è certo è che gli occhi di Yungblud (come anche quelli di Machine Gun Kelly e di molti artisti della nuova wave) sono pronti per guardare in avanti. Certi generi musicali sembrano vivere delle stagioni e poi sfiorire. Il punk, come anche il synth pop, sono delle invincibili arabe fenici in grado di attendere che le mode cambino, si mescolino e che i generi si contaminino, pur mantenendo un’estetica e una solida filosofia di base.

E dunque, come The Weeknd e Lady Gaga hanno saputo rendere omaggio a quel sound che Michael Jackson nel 1988 portava sul tetto del mondo, allo stesso modo Yungblud torna a vestire i suoi brani di quel pop punk alla Tokio Hotel, Avril Lavigne e 30 Seconds To Mars. A proposito di mars, scritto in questo caso rigorosamente in small caps, come il linguaggio del punk impone: il brano è probabilmente il punto più alto di Weird, con una ritmica ora elettrica, ora acustica e uno screaming degno – appunto – del miglior Jared Leto. Un inno, un lamento, una rivoluzione in quattro quarti che colpisce nel segno nei soli tre minuti del primo ascolto.

Con quella voce è possibile far tutto. Questo l’ho pensato dal primo momento in cui sono entrato in contatto con le performance di Yungblud. Lo pensavo anzitutto perché avevo, ed ho tutt’ora, l’impressione che i brani che avevo ascoltato (per lo più cover, da inserire nella vostra to listen list un mashup di Señorita, Back to Black e Goosebumps) fossero superiori a quelli che proponeva come cantautore. In secondo luogo, perché se hai attitudine da vendere, tecnica e un timbro da far venire i sopracitati goosebumps (la pelle d’oca), beh allora fare musica di qualità, specie nel punk, diventa quasi totalmente accessorio. Weird invece è un prodotto maturo in cui i cliché musicali permangono senza tuttavia risultare parodistici.

Una raccolta di brani up tempo e ballad che, in un mercato ultrapop, riesce a portare qualcosa in più in termini di proposta lirica senza sfigurare in quel panorama. Eh sì, perché Yungblud è assolutamente uno di quegli eletti destinati a battagliarsi con le popstar la vetta delle classifiche mondiali, ma con musica anche per post-teenager. E, per quanto si possa provare ad essere emancipati e consapevoli dell’importanza sociale del pop, per quanto quel termine venga troppo spesso associato a qualcosa di becero pur non essendolo necessariamente, per me i buoni, quelli per cui simpatizzo il più delle volte, resteranno sempre i ragazzacci del punk. Gente a cui manca qualche rotella, gente incosciente che combatte a suon di power chords non in griglia, Vans, jeans skinny ed improbabili creste, l’egemonia dei vocal chop, delle top line da club e delle giacche color pastello.