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Martin Garrix e gli U2 ci hanno spiegato come si scrive un successo

Ho in casa da qualche parte un vecchio Magazine con la classifica dei migliori dj del mondo. Non ricordo l’anno ma ricordo il volto in copertina: quello di Martin Garrix, appunto premiato come miglior deejay al mondo. Ora: che gli U2 saprebbero costruire una hit persino su una base polka, questo è abbastanza evidente. Tuttavia, se si ama il buon rock, e in particolare si venera la band dublinese anche solo a livello “distinti nord-est (visibilità limitata)”, beh allora, quando si è letto online il comunicato stampa relativo al nuovo inno di Euro 2020 – “nuovo” e “2020” sembrano un’antitesi ma no, non è un refuso – probabilmente a molti è venuto il brividino. Quel tipo di brividino, nello specifico, che ti percorre la schiena quando si digita su YouTube la frase “video cringe”. Perché ok Bono, ok The Edge (precisiamo che Adam Clayton e Larry Mullen Jr. non compaiono nei credits di We Are The People) ma il brano è a tutti gli effetti di Martin Garrix, ossia il tipo in copertina del Magazine impolverato di un anno ignoto. Se “nuovo” e “2020” è un accostamento di termini tutto sommato accettabile, “EDM” e “rock” è sempre un po’ più difficile da buttar giù. Eppure succede il miracolo: uno si mette lì, col suo iPhone o i suoi auricolari, tra un servizio sul Covid e uno sul diciannovesimo scudetto dell’Inter, e sente tanto del sound degli U2 fin dall’intro.

C’è il delay a 1/8 sulla chitarra di The Edge e c’è la voce più crispy che Bono abbia mai inciso. Diavolo! (non è esattamente questa la parola, ma è indifferente) forse avremo un inno di una manifestazione che non si rivolge solo agli under 16. Poi guardi il timer in basso di YouTube e cominci a fare il conto alla rovescia sperando che tutto resti esattamente com’è. Il primo ritornello molto minimal passa senza sfociare nel Tomorrowland, We Are People è proprio un bel brano. A quel punto, al netto di un drop finale che strizza l’occhio al mondo dei club di musica elettronica, sarebbe proprio il caso di farsi un esame di coscienza e chiedere scusa ai due ragazzacci irlandesi per aver dubitato di loro. E invece un plauso va proprio al tipo in copertina del Magazine: eh sì, perché “saper stare un passo indietro” come direbbe Amadeus, in questo caso, è un vero talento e un grande esercizio di umiltà e rispetto. Ne esce un brano in cui il testo viene valorizzato dalla produzione e in cui c’è la parte più in salute del pop degli U2. Per cui sì, signori miei, si può fare musica di spessore anche con un deejay. Si può fare un inno rivolto alle masse in grado di far muovere il culo ma che nel contempo accompagni i servizi sportivi e le lacrime di chi alzerà quella Coppa. Si può tutto, perfino sovvertire le regole apparentemente precostituite del mercato, se solo lo si vuole.