dark mode light mode Search Menu
Search

Bene Eddie Vedder, ma da quelli come te ci si aspetta di più

Eddie Vedder è ormai uno di quei pilastri imprescindibili nel mondo della musica che conta, una sorta di passaggio obbligato con cui in qualche modo bisogna confrontarsi. Dopotutto, l’eredità artistica lasciataci in dono dai Pearl Jam parla da sola e non ha certo bisogno di presentazioni, né tantomeno di alcuna legittimazione, a maggior ragione se pensiamo che circa una decina di anni fa lo stesso Vedder – per la prima volta nell’inedita veste di cantante solista – fu capace di firmare un’eccellente colonna sonora per Into The Wild di Sean Penn. Il nuovo Earthling, invece, appare distante anni luce da tutto questo. Il terzo album in studio del cantante statunitense, pur presentandosi interessante nelle intenzioni, manca purtroppo l’obiettivo in termini di esecuzione. Intendiamoci, la sufficienza è ampiamente raggiunta ma in quanti si aspetterebbero un risultato poco più che sufficiente da un autentico monumento del rock?

Dopo un inizio incalzante, imperniato sul crescendo di Invincible e l’energica Power Of Right – quest’ultima caratterizzata da un giro di chitarra tanto scolastico quanto efficace – arriva il primo momento down, ovvero Long Way, un pezzo in acustico senza infamia e senza lode che ha la colpa di spezzare il buon ritmo dell’overture. Basta questa sequenza di brani a riassumere in maniera precisa l’andamento di questo progetto, simile ad un vero e proprio pendolo oscillante tra il convincente rock martellante e l’acustico. Insomma, in Earthling coesistono (o tentano di coesistere) due distinti emisferi contrapposti, in un’altalena di emozioni che slalomeggia fra momenti convincenti ed altri piuttosto deludenti (o quantomeno poco esaltanti). Tra i momenti più alti del disco c’è la distorta e punkeggiante Good and Evil, la potente Rose of Jericho, Mrs. Mills – in coppia con l’ex beatle alla batteria – dai soavi richiami beatlesiani e la struggente On My Way, costruita su un frammento vocale di Edward Severson Jr., il padre biologico di Eddie mai conosciuto dallo stesso.

Molto più deludenti appaiono la coppia di brani The Dark e The Haves, unita dal solo fatto di possedere un vero e proprio potenziale soporifero nella loro combinazione, mentre Try e Picture – l’una accompagnata dall’armonica di Stevie Wonder e l’altra dalla combo piano e voce di Elton John – pur strappando un sorriso sul fronte degli arrangiamenti, appaiono più che dimenticabili. Senz’altro affascinante è l’idea di aver voluto strutturare la tracklist come se fosse la scaletta di un concerto, composta da un’opening track simile ad un vero e proprio incitamento nei confronti della folla e da un finale condiviso al fianco di soli super-ospiti. Un’intenzione che però finisce per superare di gran lunga la realizzazione finale, non senza qualche rammarico.