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“The Dream” è il grande passo in avanti degli Alt-J

Dopo averci abituato per anni a una capacità di mescolare generi risultando sempre credibili e apprezzati, gli Alt-J fanno il proprio ritorno sul mercato musicale con quello che, nell’insieme di componente musicale e lirica, potrebbe essere il loro progetto più curato. Il quarto album del trio di Leeds (oggi basato a Londra) fa capire fin dai primi secondi di Bane che l’intricato mix di armonie corali, percussioni mai banali e gli effetti di vibrato su una voce che canta di un’inquietudine da collegare all’aver venduto la propria anima a una non meglio specificata sostanza sono sintomo di un desiderio di portare la propria produzione musicale in una dimensione che nella decennale carriera del gruppo non era stata ancora toccata in questo modo.

Fin dall’accattivante progetto d’esordio An Awesome Wave, gli Alt-J avevano dimostrato un’attitudine sperimentale che rendeva i loro progetti sempre riconoscibili e mai ripetitivi da un punto di vista prettamente musicale. Mai come in questo progetto, tuttavia, si era percepito un desiderio così evidente di accompagnare la sempre elaborata componente strumentale a una cura delle tematiche trattate e della concezione strutturale dei testi così varia e profonda. Joe Newman stesso ha dichiarato come questo disco, e in particolare alcuni episodi, rappresentano un «grande passo in avanti» nella sua scrittura. The Dream può essere infatti riassunto come un insieme di storie con protagonisti personaggi che riescono a rappresentare diverse sfaccettature del mondo in cui viviamo. Ci sono infatti sia riferimenti a tematiche che sono specificatamente relative al mondo di oggi, come le cripto-valute che il quindicenne protagonista di Hard Drive Gold vuole utilizzare per diventare milionario in una notte, sia a tematiche più universali e senza tempo, come la già citata dipendenza della traccia d’apertura Bane, l’euforica storia d’amore del singolo che ha anticipato il disco U&Me o la descrizione degli ultimi momenti di vita di un non meglio identificato personaggio in Philadelphia.

Una menzione d’onore speciale va poi alla struggente Get Better, in cui su una minimalistica produzione di chitarra acustica la calda voce di Joe Newman canta di un personaggio evidentemente malato e in procinto di andarsene, ricordando i momenti vissuti insieme e, banalmente, pregando che stia meglio, e esprimendo speranza (“I wanted you to know that there’s time”). È difficile dire se The Dream sia il migliore disco degli Alt-J, quel che è certo è che rappresenta un ulteriore step nella carriera del trio britannico, il quale attraverso questo progetto dimostra di saper maturare, adattando la loro già consolidata capacità di curare l’aspetto prettamente musicale dei loro progetti a delle liriche che sono figlie del tempo in cui viviamo, e che quindi possono risucchiare l’ascoltatore in quel sogno che dà il titolo al disco e indurlo a varie riflessioni individuali.